Venerdì 17 novembre, presso il Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale della Sapienza, si è tenuto un seminario d’introduzione alla socioterapia.
Secondo il dizionario medico Dorland la socioterapia è un trattamento che pone enfasi sulla modifica dell’ambiente sociale e il miglioramento delle relazioni interpersonali, piuttosto che su fattori intrapsichici.
Una relazione introduttiva ad opera di Stefano Scarcella Prandstraller ha chiarito diversi approcci novecenteschi alla socioterapia, da Steiner a Whiteley.
Rudolf Steiner, durante il suo ciclo di conferenze tenutosi a Dornach nel 1924, ha introdotto due concetti fondamentali in tale ambito: la pedagogia curativa e la socioterapia antroposofica. Il fondatore dell’antroposofia afferma infatti che lo spirito non è mai malato. Le malattie riguardano il corpo o l’anima dell’individuo. Pertanto modificando l’ambiente esterno si può curare un disagio, provocando una manifestazione migliore dello spirito. I tre ambiti fondamentali dello sviluppo dell’uomo sono la vita sociale, dove il singolo sperimenta un sentimento di reciprocità e d’appartenenza a un gruppo, il lavoro e le attività culturali ed artistiche, intese come nutrimento dell’anima.
Marshall Edelson è il primo a dire che tutti quei comportamenti e quei sentimenti che si ritiene abbiano un’origine individuale in realtà sono governati da una condizione immediata e da un aspetto prettamente sociale. La psicoterapia, attenta al sistema della personalità, deve accompagnarsi perciò alla socioterapia. Continuando sulla scia dei grandi Parsons e Freud, il grande studioso riprende la teoria dell’azione sociale e dell’introiezione, ossia dei valori e delle norme sociali che tutti noi interiorizziamo in automatico.
D’altra parte John Stuart Whiteley afferma nel 1986 sul Journal of the Royal Society of Medicine la differenza tra la psicoterapia e la socioterapia. Se la prima è risistemazione degli atteggiamenti intrapersonali e dei sentimenti dell’individuo, l’altra consiste in un nuovo apprendimento dei ruoli sociali. Attraverso l’esperienza delle interazioni sociali, in un ambiente correttivo, un disagio personale viene superato grazie alla scoperta di nuove e più soddisfacenti vie di rapportarsi agli altri. La cura dev’essere affrontata in tre fasi: l’interazione, ossia il vivere in comunità, l’esplorazione del comportamento osservato, attraverso meeting di gruppi di riflessione, e la sperimentazione di nuove modalità di relazione.
L’importanza di un socioterapeuta emerge anche nei casi di disturbo della personalità. Infatti questa è una categoria diagnostica eterogenea: la radice del problema non è solo emotiva. Un individuo borderline ha una paura incombente d’essere considerato come inesistente, ed è per questo che assume diverse identità. Il bisogno sociale di venir preso in considerazione può causare difficoltà dello sviluppo socio-emotivo. Perciò una collaborazione tra socioterapeuti e psicoterapeuti sarebbe auspicabile.
Un forte momento di discontinuità rispetto al passato è dato dal più recente approccio socioterapeutico introdotto da Leonardo Benvenuti, presente all’incontro.
Il Presidente dell’AIST, Associazione Italiana di Socioterapia, dichiara che l’innovazione dell’approccio italiano è l’attenzione rivolta più alle cause del disagio che non ai sintomi.
Il campo di tale disciplina è quello dell’identità: il modo in cui una persona si rappresenta se stessa e le persone circostanti. La riflessione socioterapeutica perciò nasce dalla comunicazione, vista come strumento relazionale. Per il Professore nessun disagio ha origine puramente individuale. L’uomo non è una monade. E’ per questo che per la risoluzione delle problematiche bisogna studiare la società localmente e storicamente determinata. Nell’era della comunicazione digitale, dove i social network impongono tempi di comunicazione che non sono quelli delle relazioni, nascono nuove problematiche sociali. I giovani sono sempre più colpiti da un sentimento d’onnipotenza e da patologie della volontà dove vige l’impossibilità di non volere.
Il terzo ospite del seminario è Laura Sossi, socioterapeuta libero professionista. Con un intervento intitolato Problematiche applicative nella pratica socioterapeutica, parla dell’importanza della sociologia come base dell’apertura al mondo. “La sociologia scardina i concetti nel modo in cui siamo abituati a conoscerli” dichiara. Nell’atto pratico però essere informati e aver studiato come aiutare le persone potrebbe non bastare. La collaborazione tra l’assistito e il socioterapeuta non può mancare durante la terapia, ma spesso la persona con un disagio non vuole cambiare o il professionista pecca di autoreferenzialità.
Questa figura professionale è in ogni caso giovane e nasce dal bisogno di non dividere la dimensione cognitiva dell’uomo da quella affettiva. Se la comunicazione è il matrimonio tra la conoscenza, la parola e l’affetto la socioterapia si spinge oltre, facendo un passo in più. Con una metodologia che richiede ascolto ed empatia il socioterapeuta capisce il disagio della persona come fosse lui stesso, rientra nei suoi panni e lascia lavorare l’assistito indirizzando la sua guarigione. Proprio per un riconoscimento di tale professione stanno combattendo questi giorni i membri dell’AIST.
Elisabetta Orfanelli
(Interviste di Sabina Marchetti)