Nella settimana seguente a Pasqua il Teatro Vascello (in zona Gianicolense) si anima degli spettacoli ideati, diretti e interpretati da Gabriele Lavia, regista e attore cinematografico forte di interpretazioni in pellicole di risonanza internazionale come Profondo Rosso (Dario Argento, 1975) e La leggenda del pianista sull’oceano (Giuseppe Tornatore, 1998). Tra il 5 e l’8 aprile, in via Giacinto Carini 78, questa rappresentativa figura del mondo del cinema italiano domina la settimana tra prosa e poesia, portando in scena Leopardi e Dostoevskij, Russia e Italia l’uno accanto all’altro in due spettacoli distinti.
Lavia dice Giacomo Leopardi: “dire” ovvero non interpretare né leggere ma “riversare sul pubblico” in modo personale le più intense liriche leopardiane, concentrandosi nel sottolineare come il pensiero leopardiano trasmettesse il messaggio che le gioie, e al contempo le tensioni e le sofferenze della vita rendessero questa stessa sicuramente impegnativa e faticosa, ma degna di essere vissuta. E dal poeta materialista e pessimistico trae fuori il suo viaggio nell’animo umano.
Il sogno di un uomo ridicolo: Dostoevskij pubblica questo racconto nel 1877, originariamente inserito nel “Diario di uno scrittore”, centrato sulla denuncia della società e dei suoi insanabili vizi che la conducono all’infelicità. Dostoevskij indaga qui come, pur conscio che questi vizi lo trattengono come catene di piombo, l’uomo non possa liberarsene, perseverando nell’esaltazione della sua individualità e della cultura della menzogna.
Protagonista del racconto è un cui un uomo, quasi sul punto di suicidarsi, sogna un mondo del tutto simile alla Terra, ma i cui abitanti non sono contaminati dalla miseria umana. Qui, scopre il segreto della felicità, quello stesso segreto che lo rende ridicolo, perché inattuabile: “ama gli altri come te stesso”. Inseguendo questo insegnamento cristiano torna sulla Terra, comprendendo come il suo scopo sia mostrare la via di salvezza agli uomini. Una via, e non una meta, perché se è possibile percorrere la strada, giungere alla fine non è possibile.
Eleonora Artese