Oggi venerdì 7 giugno alle 9, presso l’aula Organi collegiali del Rettorato della Sapienza, si è tenuto il 3° Expert Meeting della M8 Alliance sulla salute dei migranti e dei rifugiati.
L’evento è stato organizzato da Luciano Saso, Prorettore alle Reti universitarie europee, dal preside della Facoltà di farmacia e medicina Carlo Della Rocca, e da Paolo Villari, direttore del Dipartimento di sanità pubblica e malattie infettive. L’incontro è stato aperto con i saluti del Rettore della Sapienza Eugenio Gaudio, del vice-ambasciatore di Germania, del segretario generale della Comunità di Sant’Egidio e dei presidi delle tre Facoltà mediche della Sapienza. Si è proseguito con diverse sessioni sull’impatto degli aspetti sanitari delle migrazioni sull’opinione pubblica, sulla salute mentale e le malattie infettive dei migranti ed altri importanti aspetti di sanità pubblica.
La M8 Alliance è una prestigiosa rete accademica coordinata dall’Università medica “Charité” di Berlino che vede tra i suoi membri, oltre alla Sapienza, l’Imperial College di Londra, la Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health, la Kyoto University Graduate School of Medicine, la National University of Singapore e la Université Sorbonne Paris Cité. Conta attualmente 25 membri con sede in 18 paesi diversi, tutti impegnati a migliorare la salute globale e a lavorare con i decisori politici ed economici per sviluppare soluzioni basate sulla scienza e affrontare le sfide della salute in tutto il mondo. La M8 Alliance promuove la traduzione della ricerca per la salute della popolazione, nonché la trasformazione degli attuali approcci di cura medica per curare i malati creando sistemi sanitari mirati alla prevenzione efficace delle malattie. L’organizzazione lavora anche per adattare le soluzioni relative alla salute alle condizioni di vita in rapido cambiamento attraverso la ricerca in aree prioritarie, in particolare il cambiamento demografico, l’urbanizzazione e il cambiamento climatico.
La migrazione è uno dei fenomeni che definiscono maggiormente i nostri tempi. Dall’analisi di vari studi risulta che la maggior parte delle evidenze scientifiche raccolte si concentra sulle malattie infettive, mostrando che i rifugiati e i migranti possono essere più vulnerabili sia nei luoghi di origine, sia di transito che di destinazione, a causa, ad esempio, dell’alta prevalenza di malattie infettive in alcuni Paesi di partenza, dei problemi nell’accesso ai servizi sanitari o di condizioni di vita deprivate nei Paesi di transito e destinazione. Ma risulta anche che vi è un rischio molto basso di trasmissione di queste malattie alla popolazione dei Paesi ospitanti. Infatti, la maggior parte di coloro che giungono nei Paesi europei è sostanzialmente in buona salute, confermando l’ipotesi del “migrante sano”, legata alle buone condizioni di tali individui alla partenza.
C’è inoltre un rilevante numero di altre condizioni di salute che possono rappresentare un carico di malattia per il migrante, sulle quali, però, vi è necessità di un ulteriore approfondimento: le malattie non trasmissibili, le problematiche legate alla salute mentale, alla salute materno-infantile e a quella occupazionale. Tali problemi tendono spesso ad acuirsi per i migranti con il passare del tempo di permanenza nel Paese ospitante, a causa dell’esposizione continua a determinanti sociali negativi, specie laddove il sistema di integrazione risulti carente.
Molte malattie non trasmissibili, ad esempio, tra i rifugiati e i migranti appena giunti, sembrano avere tassi di prevalenza più bassi rispetto alla popolazione che li ospita, ma i due tassi iniziano a convergere man mano che aumenta la durata del soggiorno del migrante nel Paese; questo è particolarmente evidente per l’obesità. Inoltre, sebbene i rifugiati e i migranti abbiano un rischio più basso per quasi tutte le neoplasie, è più probabile che queste possano essere diagnosticate in una fase più tardiva rispetto alla popolazione ospite. La salute mentale del migrante, che di suo può già risentire di esperienze traumatiche legate al percorso migratorio, può addirittura peggiorare, come nel caso della depressione, una volta raggiunto il Paese di destinazione, per via delle cattive condizioni socioeconomiche e dell’isolamento sociale.
I risultati sui migranti nei luoghi di lavoro mostrano, tra gli uomini, incidenti più frequenti rispetto ai cittadini residenti, con condizioni di impiego e di accesso alla protezione sociale e sanitaria molto difformi. Anche i risultati sulla salute materno-infantile mostrano esiti peggiori correlati alla gravidanza tra le donne migranti, mentre i fattori protettivi possono essere legati sia alla persona, quali il livello di istruzione o la conoscenza della lingua, sia all’efficacia delle politiche di integrazione.
Infine, le evidenze disponibili in tema di accesso ai servizi sanitari descrivono un quadro variegato nel continente, che dipende da molti fattori: tra questi, lo status giuridico (in particolare la condizione di regolarità nel Paese, l’organizzazione stessa dei servizi e la loro gratuità). Occorre pertanto rafforzare la raccolta delle evidenze, la collaborazione intersettoriale e multidisciplinare, nonché i sistemi informativi nazionali, ed è necessario contribuire ad abbattere le barriere d’accesso ai servizi sanitari, con l’obiettivo di una sempre maggiore equità nella salute e dell’efficacia delle politiche di tutela della salute pubblica.