Si è svolta martedì 10 ottobre, presso il Centro Congressi de La Sapienza, la giornata dedicata alla memoria della Prof.ssa Gloria Gabrielli, scomparsa nell’agosto del 2016 e oggi più che mai uno dei pilastri fondamentali della nostra Università.
Ed è proprio intorno al tema della memoria che si è concentrata la conferenza, subito dopo i saluti di benvenuti del Professor Bruno Mazzara, direttore del CoRiS.
Il primo intervento è stato quello della commossa Prof.ssa Simona Colizzari che ha spiegato come la storia fosse il cemento della sua amicizia profonda con la Prof.ssa Gabrielli.
Nel ricordare gli ultimi anni della collega, che progettava una ricerca intorno al ruolo dei Radicali negli anni settanta, la Colizzari ha espresso come la conoscenza del passato sia la chiave di lettura per il presente, dando così senso alla cittadinanza e non riducendo la Storia e mera memoria.
La storia, infatti, rispecchia una dura professione: lunghe ricerce, incessanti domande e approfondimenti.
Lo storico non va alla ricerca della verità, bensì tenta di indagare sulle cause e gli effetti. Ne è esempio la realtà italiana degli anni settanta, una delle fasi più complesse del nostra storia: il partito radicale che inizia ad avere un impatto notevole nella vita democratica del Paese, unitamente agli anni di piombo e alla notte della Repubblica, alle stragi e al terrorismo, al dilagarsi della criminalità organizzata. Ecco il lavoro dello storico devo culminare in interpretazioni, contestualizzando, alla fine della sua ricerca. Quella degli anni settanta è stata una storiografia all’insegna della crisi e la vera difficoltà sta nel capire quando finisce un periodo e ne inizia un altro.
La parola è poi passata al Professor Luciano Zani, che ha ricordato come la Prof.ssa Gabrielli amasse i personaggi storici fuori dal coro, i personaggi di frontiera, i cosiddetti borderline. Sulla scia di questa introduzione ha poi affermato che lo storico dev’essere in grado di creare un continuum, una coerenza tra la storia e la memoria, riconosciuta ora come fonte empirica soggettiva. La memoria è come un’impresa, ha poi spiegato il professor Andrea Guiso, caratterizzata da una cultura commerciale di film e documentari.
Il professor Giovanni Orsini si è concentrato invece sul rapporto della politica con le emozioni storiche.
Ricordando Tangentopoli, ha spiegato come il popolo italiano ha cercato, in quegli anni, di far pagar al ceto di governo un sistema malato, riconoscendo questo come unica soluzione per la salvezza del Paese.
Gli anni 1992 e 1993 sono stati caratterizzati da una forte esplosione emotiva, in cui l’Italia spera nel miracolo della svolta. Si viene così a creare una situazione, soprattutto nel post 1994, in cui la politica non riesce ad attenuare questa stessa esplosione emotiva; Tangentopoli passa così alla storia come una mera memoria, condizionata esclusivamente dalla sfera della politica.
Infine, la professoressa Paola Marsocci, ha affrontato il tema della memoria in relazione al diritto, affermando che il carattere pregnante della carta costituzionale è stata proprio la sua fase di progettazione e programmazione. Si parla di una memoria che avvolge diritti e doveri e occorre indagare su quanta e quale memoria di quei diritti e doveri dei padri fondatori siano attualmente rintracciabili. Una cultura costituzionale è una cultura della trasmissione, che vede ancora una volta la memoria come un’impresa troppo complessa per essere lasciata esclusivamente agli storici. Occorre piuttosto una cooperazione nella ricerca.
Alla fine del suo intervento la professoressa ha ricordato anche l’accezione negativa di memoria, che trova il suo habitat nel mondo di internet. Il diritto all’oblio, il diritto di dimenticare, rappresentano una memoria disordinata che tralascia la dimensione soggettiva diventando nociva.
Alessandro Ledda