Negli ultimi due decenni si è sviluppato un notevole dibattito intorno alle cosiddette città creative; con questo termine si intendono quelle città caratterizzate da un alto tasso di creatività, individuale, istituzionale e diffusa, che sono in grado di utilizzare questa risorsa come strumento per la competizione urbana. Nonostante si tratti di un oggetto di studio ormai consolidato, sembra che non vi sia nessun accordo tra gli autori a proposito della definizione di questo concetto e sulla definizione e operazionalizzazione di numerosi altri concetti e indicatori ad esso correlati.
In questo mondo poi sempre più globalizzato, in cambiamento accelerato, altamente competitivo, l’innovazione – in tutti i campi- è sempre più importante. Alla base dell’innovazione c’è la creatività che ne è la materia prima. La creatività è direttamente proporzionale al flusso di idee nuove in cui si è immersi. Le città hanno sempre giocato questo ruolo di fertilizzatrici della creatività, ma l’attuale e futura situazione della nostra società valorizzerà sempre di più questa capacità della città.
Questo ruolo le città lo svolgono in tre modi: creando le condizioni che facilitano lo scambio di idee, creando posti di lavoro in cui si richiede creatività. Quanto più le città svolgono bene questo ruolo, tanto più si svilupperanno e attireranno risorse e investimenti.
In questa sessione del convegno si sono trattati diversi punti tra cui, con l’intervento del Professore di Sociologia della Sapienza Francesco Mattioli, Le città globali: alla ricerca di nuove identità. Ci si è focalizzati sull’identità perchè è una dimensione sociologica e antropologica estremamente importante, identità come percezione del sè da parte dell’individuo nel contesto sociale, quindi sia un’identità personale nell’io sia quella sociale con i ruoli e status, come appartenenza in un determinato luogo o di gruppo sociale di cui siamo rappresentanti. Quindi tra questi luoghi di appartenenza quelli per cui noi hanno un’importanza fondamentale nel determinare le nostre azioni sociali e anche nell’essere riconosciuti dagli altri, la città oggi, ha il bisogno anche di acquisire e trasformare la propria identità per poterla trasferire e comunicare ai suoi abitanti, cosidetti city user. Il problema della città post-moderna però è proprio questo venir meno alle unicità. Quando passeggiamo per le nostre città, si può notare come esse presentino caratteristiche simili. Che ci si trovi in una città in Spagna o in una grande città in Svezia, per le vie del centro potremmo sicuramente andare a consumare l’hamburger di una grande multinazionale o il caffè. Camminando nelle città si possono osservare grandi catene di abbigliamento e fast-food, possiamo acquistare gli stessi cibi, lo stesso capo d’abbigliamento. Trovarsi a Londra piuttosto che a Roma ormai non fa alcuna differenza. Città che si misurano in performance, spesso determinate dall’attrazione di capitale e di grandi multinazionali che sono responsabili della globalizzazione, della lotta e delle resistenze da parte dei cittadini. Si modifica la città, mutano la specificità delle vie del centro e talvolta la stessa identità e appartenenza degli abitanti appunto. Crescono le resistenze da parte di quei cittadini esclusi, quelli delle periferie, centri sociali, attività commerciali che provano a resistere alle logiche della grande distribuzione cercando di preservare la specificità locale. La città in questo modo si ritrova a ad avere una dimensione globale e una locale, che sono in perenne lotta tra loro per lo spazio.
Nel 2 panel si è anche parlato della Street Art ovvero quelle forme di arte che si manifestano in luoghi pubblici, spesso illegalmente (senza esplicito permesso), nelle tecniche più disparate. A Roma quest’arte urbana è stata usata molto come processo di riqualificazione di alcune zone periferiche come Tor Marancia che era una periferia di case popolari dimenticata e condannata all’immobilità,ma all’improvviso è finita sotto i riflettori. Centinaia di persone andavano a visitare il quartiere, televisioni di tutto il mondo intervistavano i cittadini, i giornali parlavano di “rinascita” della periferia. Cos’era successo? Niente di serio, erano state dipinte le facciate delle case popolari da un’associazione e mentre si dipingeva sono stati piantati fiori e alberi e a rifatti i giardini. Poi la situazione è “sfuggita di mano” (in senso buono). Un esempio: due artisti hanno dedicato un’opera a un ragazzo con problemi di mobilità, che non poteva uscire di casa perché non c’era l’ascensore e il finanziatore di quest’associazione ha deciso di costruire per lui quell’ascensore. E’ stata fatta un pò d’arte con questo progetto – sostenuto principalmente dalla Fondazione Roma, realizzato con la collaborazione di Ater, l’azienda territoriale per l’edilizia residenziale del Comune di Roma – si chiama Big City Life, ha coinvolto ventuno artisti, provenienti da undici Paesi del mondo con un unico scopo: provare a cambiare sul serio la vita delle persone, armati di un pò di vernice, rulli, pennelli, spray e mezzi per andare in alto, aiutando a mettere in evidenza le contraddizioni della società, a riappropriarsi della città e dei suoi spazi per ripensarla in modo più inclusivo.
Nel 3 panel invece si è parlato dell’importanza sociale del Foia italiano ovvero una nuova forma di accesso civico ai dati e documenti pubblici equivalente a quella che nel sistema anglosassone è definita Freedom of Information Act (FOIA) e dell’associazione Diritto di Sapere che ha lo scopo di promozione e difesa del diritto umano di accesso all’informazione, ossia il diritto di tutti i cittadini di richiedere e ricevere informazione da istituzioni pubbliche e di richiedere e ricevere informazione da entità private nella misura in cui svolgono funzioni pubbliche e/o dove l’informazione è necessaria per proteggere i propri diritti. Questo diritto è anche conosciuto come “diritto all’accesso” o “diritto di informazione”.
Lucia Artieri