“In questo incontro mi sono reso conto che loro sono ignoranti del nostro mondo e noi del loro. Non ci conosciamo.” Due mondi lontanissimi: quello da cui i rifugiati fuggono, il loro, e quello in cui i rifugiati arrivano, il nostro. Differenti aggettivi possessivi che, tuttavia, Pippo Delbono non utilizza nel suo film: in Vangelo esiste un’unica umanità, un unico mondo, e gli uomini, nel profondo dell’anima, sono tutti uguali. Questo è il messaggio del Vangelo, depurato dalle interpretazioni, dalle morali e dalle ideologie, e questo è il messaggio di “Vangelo”, proiettato lunedì 19 marzo al Teatro Argentina alle ore 21.
Pippo Delbono, attore, autore e regista teatrale e cinematografico, che è sia l’ideatore sia lo sceneggiatore sia il regista di Vangelo, è entrato quasi per caso nel centro rifugiati “Centro di Villa Quaglina” di Asti, e l’ha poi frequentato per un anno e mezzo, ascoltando le storie dei rifugiati senza filmare per molto tempo: “mi sembrava un atto di violenza voler rubare qualcosa a loro per il mio film”, dice, spiegando perché ha prima voluto conoscere a fondo le persone che aveva incontrato e soltanto dopo iniziare le riprese.
Vangelo è un omaggio alla madre di Pippo Delbono, fervida credente, che sul letto di morte aveva chiesto al figlio di creare un’opera sul messaggio evangelico, perchè portatrice di amore.
E il Vangelo, la sua storia e le due frasi si incarnano nella vita e nei volti dei profughi “inevitabili protagoniste di un tempo nuovo”. Una scelta questa non solo dettata dall’emozione profonda e dalla connessione avvertita dal regista nei confronti dei profughi, ma che si sposa con la tendenza di Delbono a rendere gli ultimi protagonisti delle sue opere.
“Persone che normalmente percepiamo o come intrusi, invasori dei nostri spazi, o al limite come delle persone poverine da aiutare. Qui no, ho trovato qualcos’altro. Qualcosa che scoprivo giorno dopo giorno” Un plus di umanità che si riversa nelle inquadrature, e che si esprime durante la loro recitazione.
Eleonora Artese