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Storie di “Resistenze”

Dall’America all’Europa, dall’Europa all’Asia: tre continenti, nove Paesi, dieci anni di storie e incontri immortalati attraverso una macchina fotografica. Si chiama “Resistenze” ed è il grandioso lavoro realizzato da Valerio Nicolosi, filmmaker e fotoreporter romano, che ha girato il mondo con l’unico obiettivo di essere testimone diretto della realtà. Bella, brutta, lieta o tragica che fosse. Testimone di storie, di racconti, di vite umane che lottano ogni giorno per la propria vita. Per resistere. Per esistere.
Mercoledì 11 dalle ore 9 in poi, ne parlerà presso la sede del Coris de La Sapienza, nella due giorni organizzata dai professori del corso di Giornalismo Radiotelevisivo Ruggiero e Giorgino sul giornalismo d’inchiesta.
Edito da Crowdbooks Publishing, “Resistenze” mostra e racconta allo stesso tempo i volti di chi lotta ogni giorno senza arrendersi. Senza perdere la speranza. Nessun rifugiato al mondo avrebbe mai pensato di diventare tale: una ragazza intervistata da Nicolosi racconta del suo sogno, quello diventare avvocato. Ma la guerra distrugge ogni cosa, dalla guerra si scappa, ci si nasconde e anche i sogni vengono annientati o conservati nell’angolo più remoto di un cassetto.

 


Oltre alla guerra c’è la storia dei contadini dell’Isola delle Vedove, gravemente malati ai reni e impossibilitati a lavorare a causa dei pesticidi dispersi nell’aria e nelle falde acquifere. Gli uomini rimasti sull’isola sono pochissimi, tutti malati. Dall’isola del Nicaragua, Nicolosi è poi arrivato fino al confine col Messico, dove ha incontrato le comunità dell’EZLN, l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale che si ha lottato per opporsi al trattato col Messico per proteggere le proprie origini.
E dal Messico, ha attraversato l’Oceano fino all’Europa. Bruxelles. La comunità kurda manifesta sotto la sede dell’Ue per chiedere sostegno per il suo popolo.
Ancora un altro scatto, forse altri dieci o mille: serviranno tutti. Nicolosi è diventato uno di loro, in tutte le situazioni. Un vero fotoreporter si vede da questo. Un po’ come un giornalista che prima di porre la domanda più fastidiosa cerca di conquistare la fiducia di chi ha davanti. Il click dell’obiettivo, altrimenti, può far male quanto una pallottola in una gamba. Quanto un pugno alla bocca dello stomaco. La fiducia è la vera conquista di chi fa un lavoro come quello di Valerio, ché a scattare serve meno di un secondo.
Da kurdo è diventato siciliano o calabrese: è andato a vedere come vive chi lotta e resiste contro il sistema delle mafie nel sud Italia.
Ha terminato il suo viaggio indossando gli abiti dei palestinesi. Ha conosciuto e ci ha fatto conoscere la Striscia di Gaza, quella degli studenti universitari, dei cantanti rap e dei ragazzi che si divertono a fare parkour.
Mercoledì tornerà a vestire i suoi abiti, quelli romani, di un ragazzo comune, di uno studente interessato a capire come raccontare attraverso l’obiettivo di una camera.

Carmen Baffi