Sabato 17 marzo il famoso ballerino internazionale Rudolf Chametovic Nureyev avrebbe compiuto 80 anni. L’artista, nato a Irkutsk, città Russa, rivoluzionò i palchi del balletto classico unendolo alla tradizione pop rendendo quella performance raffinata e quieta del balletto una vera e propria opera alternativa.
Il mito del balletto classico morì a soli 55 anni lasciando dietro di se una carriera “mozzafiato”, tra teatri stracolmi, scenografie retrò e curiosità dei cronisti. Può essere ritenuto al pari di quei personaggi memorabili di un tempo che non cesseranno mai di esistere nelle memorie della società odierna, come Marilyn Monroe e Maria Callas.
Anche se nella sua vita è sempre stato contrastato dal padre tradizionalista musulmano e soldato sovietico, Rudolf Nureyev sviluppò un ottimo spirito rivoluzionario, anche se tormentato. Il suo carisma fu perseguitato anche dalla sua fuga in Occidente dovuta alle controversie con il comunismo. Dopo il suo ritorno in patria nell’87, affermò che la nostalgia per la Russia lo accompagnò per tutta la sua vita.
Riuscì ad unire il rigore accademico sviluppato dopo gli spettacoli sotto la guida di Pushkin (poeta, scrittore, saggista e drammaturgo russo) nel ’55 ed i caratteri della tradizione occidentale ottenuti dalle collaborazioni con Margot Fonteyn (ballerina inglese). Collaborò anche con Carla Fracci ed aveva un’estremo interesse per Martha Graham che lo influenzò con la “modern dance” americana.
Sviluppando il calendario degli spettacoli dell’Opéra con coreografie alternative di autori come Merce Cunningham, Lucinda Childs e Twyla Tharp, contribuì alla riproduzione di balletti storici e la sua ultima impresa fu una rielaborazione di La Bayadère che allestì a Parigi nell’autunno del 1992. Sconvolse il pubblico quando uscì per il finale dello spettacolo a causa del suo aspetto magrissimo ed dolorante, definito il “fantasma di se stesso”. Tuttavia esternava ancora una luce di ammirazione e passione su uno dei palcoscenici in cui si esibì. Devastato dall’Aids, morì all’inizio dell’anno successivo.
Sabina Marchetti