È possibile attribuire un significato all’interpretazione dell’inno americano da parte di Jimi Hendrix a Woodstock 1969? Come giustificare il finale scherzoso di una sinfonia di Joseph Haydn?
Sono soltanto un paio di spunti che emergono dal complesso rapporto tra la musica e il suo significato. Un binomio tra composizione e interpretazione che è stato al centro dell’intervento del professore Alessandro Bertinetto, docente di Filosofia teoretica e Filosofia della musica presso l’Università di Torino, inaugurando la serie di convegni “Colloquia 2020”. Questa prima relazione del ciclo di eventi, curati dalla Sezione musicologica del Dipartimento di Lettere e culture moderne, è stato proprio incentrata sul significato musicale.
Ponendo in relazione pensiero musicale e speculazione filosofica, come già fatto in pubblicazioni quali “Il pensiero dei suoni. Temi di filosofia della musica” ed “Eseguire l’inatteso. Ontologia della musica e improvvisazione”, Bertinetto illustra la sua attività di ricerca in merito al significato musicale. Dapprima Il filosofo descrive la posizione antinomica tra formalisti, i quali escludono una diretta connessione tra le parti, e i semanticisti che invece affermano questo tipo di relazione. Così secondo i primi la musica non può riferirsi al mondo come avviene con il linguaggio. Le informazioni che può veicolare la musica sono intrinseche alla lingua musicale. Al limite il significato delle note può essere il risultato di stipulazioni deliberate in casi isolati.
Discorso opposto per i semanticisti, coloro che in questa diatriba vestono i panni degli integrati contro i formalisti apocalittici. La tesi semanticista è supportata dal ruolo che giocano le emozioni. La musica, infatti, sembra avere un potere motivazionale. Sorgenti sonore che possono essere utilizzate per regolare il comportamento degli esseri umani con il loro andamento. Inoltre la musica ha il potere di causare e provocare emozioni sincronizzando diversi stati d’animo. Sempre secondo questa tesi i suoni e le loro combinazioni sono percepiti come portatori di processi dinamici, cioè riprodurrebbero processi emotivi e relazioni tra esseri umani. In sostanza la musica riesce ad installare una sorta di narrazione.
Quale valore attribuire dunque ad una nota che tocca le nostre corde più sensibili? Nell’ambito della dicotomia tra formalisti e semanticisti, Bertinetto instaura una dialettica che si concretizza in una tesi di natura pragmatica. “Il contrasto tra queste due posizioni non può essere risolto nel campo della disciplina semantica. Ritengo che la musica non abbia una robustezza semantica tale da essere paragonata al linguaggio. Per questo occorre passare dalle semantica alla pragmatica, riferendosi a questa disciplina come lo studio del linguaggio che diventa azione, il contesto nel quale noi usiamo le parole”. Nello specifico il pensatore viareggino indica alcuni fattori pragmatici in cui emerge il significato musicale: informazioni relative a compositori, interpreti, critici e media che veicolano il suono musicale. A queste variabili si aggiunge un altro tipo di contenuto che giustifica un linguaggio alla base della produzione musicale. Si tratta delle convenzioni culturali. “Come avviene in una comunicazione linguistica, anche nella musica la cultura è una precondizione da applicare per l’attribuzione di un determinato significato. In questo modo il significato musicale è inteso come possibilità di generare una mutua comprensione. Una melodia che crea un’intesa tra musicista e pubblico”.