Roma, 2 maggio 2022 – Alessandro Serra, regista di fama internazionale, è stato ospite presso l’Aula Levi dell’ex Vetreria Sciarra, dove si è tenuto il primo appuntamento di incontri “Pensare il teatro”, organizzati nell’ambito del progetto “Per un teatro necessario” del Dipartimento di Storia, antropologia, religioni, arte e spettacolo, diretto dal Professor Guido di Palma.
«Il teatro senza letteratura non si può fare», questa è l’affermazione che compare nel saggio di Serra che costituisce una postfazione del libro di Victor Hugo su William Shakespeare. In questo testo il regista avanza l’ipotesi che vede il drammaturgo e poeta inglese come l’inventore della scrittura di scena. Peter Brook ha paragonato i suoi scritti ai piani di un grattacielo: elementi quali la comicità, la volgarità, l’ammiccamento, costituiscono i piani bassi; la prosa, il canto e la poesia, i piani intermedi, sovrastati da vette di lirismo e spiritualità mai più raggiunte, che si rivolgono alla vera essenza dell’animo umano, eclettica e complessa.
La vera comprensione di un testo scaturisce da due diverse letture: quella emotiva, immediata, e quella profonda, che richiede attenzione, ricerca e analisi. «Il problema è che noi siamo abituati a proiettare nel testo tutti i luoghi comuni, ciò che crediamo di sapere di quel testo senza leggerlo mai veramente. Ecco perché si continuano a reiterare i medesimi errori nella lettura delle opere» – ha affermato Serra. Non può esistere teatro senza letteratura, dunque, ma è necessario trasformare la letteratura in teatro. Non esiste la lettura univoca di un testo, che può essere sottoposto a diverse interpretazioni dipendenti dal contesto e dai diversi soggetti che se ne appropriano; il regista non può imporre agli attori la sua chiave di lettura, il suo compito è quello di fornire tutto ciò che ha espiantato di oggettivo dal testo, per restituirlo come materiale duttile e modificabile a beneficio della messa in scena. Gli errori drammaturgici, di cui le opere più conosciute sono ricche, devono essere decostruiti, così come i luoghi comuni, che devono essere sostituiti con elementi semplici, non concettuali, che permettono allo spettatore di ricollegarsi alla prospettiva metafisica grazie all’interpretazione dell’attore. A volte le parole sono ripetizioni di un concetto già esplicitato nei suoni, nelle immagini e nei gesti. «Il teatro si svolge in una fiamma, in un momento. Sono fiammate emotive che zampillano in un attimo» – ha proseguito Serra.
Il ruolo dell’attore è quello di farsi carico del dolore del mondo. Ne La Tempesta, opera scritta tra il 1610 e il 1611, vengono affrontati temi sorprendentemente attuali; l’immensità di Shakespeare sta nel sostenere che l’unica via possibile è il perdono, che non viene concesso dall’alto, ma a seguito di un percorso interiore, umano, che unisce tutti gli individui in un concetto semplice: quello della compassione. L’essere umano ha la necessità di condividere le proprie ferite con gli attori tramite l’immaginazione, elemento che Shakespeare invoca in ogni sua opera. Il teatro diventa, così, una forma d’arte rivolta a un pubblico vasto e deve avere una forte connessione con il desiderio di riempire le platee, altrimenti pecca di referenzialità. L’attore, durante la recita, deve entrare in un’altra dimensione, appropriarsi delle parole, privandole del significato che gli è stato attribuito nel corso del tempo, per fare ritorno al loro valore originario. «Più si torna al principio, più ci si muove verso il futuro. Se c’è una possibilità per il teatro di non morire è tornare alla sorgente e la sorgente del teatro è l’attore» – ha concluso Serra.