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“Fotografia, giornalismo, etica”: laboratorio sul fotogiornalismo con Susanna D’Aliesio

Secondo appuntamento ieri con il laboratorio di fotogiornalismo tenuto dalla fotografa Susanna D’Aliesio, all’interno delle lezioni della Cattedra di Media & Diversity retta dalla professoressa Gaia Peruzzi. Anche questo incontro si è svolto, come il precedente, presso l’Aula B10 del Dipartimento CoRis.

D’Aliesio apre la seconda lezione citando una frase di Ferdinando Scianna: “Si può mentire con le fotografie. Si può persino dire la verità, per quanto ciò sia estremamente difficile. Il luogo comune vuole che la fotografia sia specchio del mondo ed io credo occorra rovesciarlo: il mondo é lo specchio del fotografo”. La realtà da ritrarre, insieme al codice etico, è il leitmotiv ricorrente dell’incontro. È il fotografo a scegliere il soggetto da ritrarre e come ritrarlo, ogni sua fotografia è soggettiva, porta in essa qualcosa di sé.

Dietro la fotografa scorrono alcune slide che passano velocemente in rassegna le basi del fotogiornalismo, secondo le quali, come un articolo di giornale, il fotogiornalista deve pensare di stare comunicando un messaggio, scegliendo un codice, attraverso un vero e proprio linguaggio visivo proprio della fotografia. L’importante, infatti, è veicolare il messaggio con la sola immagine: una buona fotografia, spiega D’Alesio, non ha bisogno di ulteriori didascalie (come si dice spesso sui giornali, la foto deve parlare da sé, ndr). Il contenuto è importante quanto il modo in cui il messaggio viene trasmesso: le cinque W (What? Who? When? Where? Why?) devono essere le colonne portanti della fotografia.

Importante è l’illustrazione di come vive oggi un fotogiornalista: egli può essere chiamato da enti, agenzie, privati, ecc. per costruire un servizio o, in qualità di freelance, realizza servizi che successivamente propone a giornali o redazioni. La D’Aliesio spiega quanto sia difficile in entrambi i casi vendere una propria foto, e quanto sia utile sviluppare specifiche competenze: seguendo le logiche del mercato, un freelance deve saper essere al contempo fotografo, editor, abile nel post-produzione e veloce nel mandare il materiale in agenzia rispettando le scadenze. Saper parlare una o più lingue, inoltre, è fondamentale per poter contattare agenzie estere e per potersi interfacciare con una platea internazionale.

Le fotografie notiziabili possono essere dappertutto, qualsiasi cosa può catturare l’attenzione dell’audience, è importante imparare ad essere al posto giusto nel momento giusto e sviluppare un proprio stile unico, che caratterizza il fotografo: una buona fotografia deve essere un compromesso tra una giusta inquadratura, perfezione della tecnica e perfezione del messaggio. Nonostante sia difficile far convogliare insieme tutte queste prerogative, occorre un accurato e continuo lavorìo, poiché una foto piatta, spiega la fotografa, non viene venduta.

Viene dedicato uno spazio all’importanza del grandangolo, utile non solo per riempire l’inquadratura, ma anche per avere un ampio angolo di campo che faccia percepire il contesto a chi non sa nulla della notizia. Non ci si può limitare al punta e scatta: la foto deve essere pensata e ragionata, altrimenti non viene venduta. Una buona fotografia, continua la D’Aliesio, deve dare l’impressione del movimento, non può essere statica (non sono vendibili foto da cartolina). La fotografa, inoltre, spiega quanto sia importante non manipolare o ritoccare le foto in fase di post-produzione, in nome della realtà e dell’imparzialità, che implicitamente il fotografo promette allo spettatore: cita gli esempi di Souvid Datta, che perse credibilità e reputazione per aver ritoccato più volte le sue fotografie, e di Narciso Contreras, il quale eliminò dei dettagli in una sua fotografia. Entrambi, infatti, vennero licenziati. I tagli, invece, sono consentiti, a patto che non si ometta il contesto, non snaturando in questo modo il senso della fotografia.

Vero e proprio punto focale della seconda parte è relativo al codice etico. È fondamentale rispettarlo, soprattutto quando si fotografano delle persone, le quali devono accettare di essere ritratte in foto (obbligatorio il consenso scritto: non si può pubblicare, pena una più che probabile denuncia, contro la volontà del soggetto). Un buon professionista, infatti, prima di essere fotogiornalista è una persona, è un umano, e da tale deve rapportarsi verso un altro umano. Il soggetto, quindi, deve essere trattato dignitosamente, e con rispetto, poiché il tatto e la delicatezza in questo lavoro sono fondamentali.

La lezione-incontro si conclude con l’analisi delle foto scattate dagli studenti, assegnate dalla D’Aliesio la volta precedente.