Nell’ambito della sesta edizione della Settimana della Sociologia, il Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale della Sapienza ha ospitato l’incontro “Come il giornalismo sta cambiando la guerra. Riflessioni a partire dal libro ‘Net war’ di Michele Mezza”. L’evento è stato promosso dalle cattedre di Teoria e tecniche della televisione della prof.ssa Mihaela Gavrila e di Innovazione e analisi dei modelli di giornalismo del prof. Christina Ruggiero.
La prof.ssa Gavrila ha esordito citando Emile Cioran, in merito al ruolo totalitario della comunicazione, e a Edmund Morel, sull’invito alla buona comunicazione intesa come trasferimento di informazione accompagnata dalla componente essenziale dell’umanità.
Pierguido Iezzi, co-fondatore di Swascan (azienda di pianificazione e analisi della cyber security) ha sottolineato l’importanza del dialogo tra la sociologia, l’informazione e la cyber security e ha osservato come l’informazione i cyber attacchi abbiano avuto un ruolo importante nel conflitto ucraino. Iezzi ha parlato di parla di una guerra ibrida, in cui conta non solo il contesto militare ma anche il ruolo della cybersecurity: infatti, all’inizio della guerra ucraina sono avvenuti degli attacchi russi contro i siti istituzionali ucraini, a cui poi Anonymous ha risposto attaccando i siti istituzionali russi. In un mondo digitale come quello odierno, in cui i dati sono fortemente vulnerabili e in cui la comunicazione è utilizzata come strumento di potere, la cybersecurity è fondamentale per verificare le fonti dell’informazione.
Michele Mezza, giornalista e docente alla Federico II di Napoli, ha evidenziato la convergenza tra comunicazione e cyber security: “Il giornalismo è diventato strutturalmente un capitolo della cyber security”. Secondo Mezza, in ucraina il giornalismo sta cambiando la guerra e, nel contempo, la guerra ha cambiato il giornalismo. L’autore di “Net War”, volume è dedicato a Julian Asange e ad Anna Politvoskaja (che disse che l’“unico dovere del giornalista è scrivere quello che vede”), ha citato Hanna Arendt per spiegare come non ci possa essere libertà di informazione senza la garanzia che ci sia la possibilità di verificare i fatti. Oggi le fonti di informazione si moltiplicano, hanno tutte una verosimiglianza e hanno documentazione a supporto che sostiene una determinata visione dei fatti. In questo contesto, si perdono l’autonomia ed il ruolo tradizionale del giornalista come “artigiano”. Dopo aver affrontato gli esempi del massacro di Bucha e del fotografo del battaglione Azov, Mezza ha affermato che, allo stato attuale, “si sovverte l’economia politica dell’informazione” e “l’informazione diventa sicurezza nazionale”. A tal proposito il docente ha fatto riferimento al generale Valerij Vasil’evic Gerasimov, capo di stato maggiore delle forze russe, il quale in un saggio per la rivista militare russa “The Military-Industrial Courier” nel 2013 ha descritto la guerra ibrida come la capacità di sovvertimento delle psicologie dell’avversario senza pause, in un processo unico, permanente e incontrollabile.
Mezza ha poi dichiarato che la semiologia sostituisce la propaganda, attraverso il linguaggio che trasforma la guerra in guerra multimediale. Un esempio sta nell’appello fatto dal ministro della tecnologia ucraina, il quale, il 27 febbraio 2022, ha chiesto a Musk di controllare i suoi satelliti sull’Ucraina. Dunque, in una guerra digitale la società civile non combatte solo attraverso la resistenza armata ma anche attraverso le informazioni. Citando la giornalista statunitense Jill Abramson, secondo la quale nel processo di ricomposizione dell’informazione e dell’informatica è necessario recuperare attraverso una struttura etica e valoriale la capacità di essere cittadini di un mondo dei numeri come quello attuale, Mezza ha evidenziato il bisogno di acquisire la capacità sociale di negoziare il processo di calcolo: il giornalismo consiste, infatti, nella capacità di riprogrammare e condividere sistemi intelligenti che producono valore attraverso l’informazione. Tuttavia il giornalismo è sempre meno riconosciuto poiché differentemente dal passato, in cui le fonti accreditate per il passaggio di informazioni erano possedute solamente dai giornalisti, adesso tutti hanno le informazioni allo stesso momento grazie alla tecnologia ma sottovalutano totalmente la fonte da cui esse provengono.
Nel suo intervento, Giuliana Sgrena, giornalista, politica e scrittrice, ha posto l’accento sulla scelta dei giornalisti di di stare dalla parte della resistenza ucraina, una scelta che prodotto un’informazionea senso unico. In Russia, invece, secondo Sgrena, l’informazione risponde al governo e c’è quindi una chiusura nei confronti dei canali informativi, a differenza dell’informazione dilagante che proviene dall’Ucraina. La firma de “il Manifesto” ha sostenuto che tutti i giornalisti oggi sono “embedded”, mentre lei non ha mai voluto essere arruolata. Ha parlato di una infoguerra, in cui l’informazione è utilizzata come strumento di guerra. In questo ambiente il giornalista deve trovarsi sul campo, in quanto al giorno d’oggi il fattore tempo è diventato fondamentale ed è ciò che fa la differenza. Ciò, tuttavia, comporta la mancata verifica dell’informazione e della fonte e mette in pericolo la democrazia, poiché senza informazioni valide non si ha la possibilità di formarsi un pensiero personale altrettanto valido. Segrena ha fatto appello quindi alle istituzioni pubbliche, le quali dovrebbero cercare di ovviare questo vortice di informazioni pericoloso, e ha concluso affermando che oggi siamo oltre il mondo della post-verità e delle fake news.
Walter Quattrociocchi, direttore del CDCS (Centere of Data Science and Complexity for Society) della Sapienza, dopo aver parlato di algoritmi, si è soffermato su concetti come il confirmation bias, le echo chamber e la polarizzazione, arrivando a dire che il business model del giornalismo è cambiato: il suo obiettivo non è più informare, ma intrattenere sulle piattaforme. L’algoritmo è il criterio attraverso cui la piattaforma fa un ranking prioritario dei contenuti passati all’utente, selezionando i fatti con l’obiettivo non di informare ma di intrattenere. Da qui si creano delle tribù attraverso le echo chamber, un sistema in cui l’informazione è filtrata ed è proposta solo se aderente al gruppo di cui si fa parte. Quattrociocchi ha poi riportato le conclusioni di uno studio sul rapporto tra l’infodemia e l’esitazione vaccinale: non è vero che la disinformazione ha modificato le scelte, in quanto chi era convinto di vaccinarsi si è vaccinato e chi era era convinto di non vaccinarsi non lo ha fatto.
A seguire, il dott. Mauro Bomba ha illustrato i dati di una ricerca sulle rappresentazioni mediali e discorsive delle situazioni di crisi, riguardante in particolare il coverage della pandemia di Covid 19 della crisi russo-ucraina nei telegiornali della sera e nella stampa mainstream.
L’evento è stato chiuso dal prof. Ruggiero, che ha definito il giornalismo una professione diversa dalle altre, in quanto meno specialistica e avente a che fare con le questioni che riguardano la vita.
(Interviste realizzate da Davide Cesario e Ludovica Pallotta; riprese di Mattia D’Aloia)