Il ciclo delle conferenze dedicate all’analisi del fascismo nei suoi vari aspetti, dalla sua ascesa alla sua caduta, prosegue anche oggi, mercoledì 30 Novembre, mettendo al centro le parole chiave Razza, Cultura ed Antifascismo.
La parola Razza, analizzata dal professor Betta, è stata molto controversa per quel che riguarda il suo legame con il fascismo. Diventata centrale dal 1938, con le leggi razziali, in realtà non diventa accettabile da quel momento in poi, perché già presente e radicata nella mentalità fascista. De Felice, storico le cui analisi del fascismo sono tra le più note, già nel 1961 si sofferma sull’origine di questa ideologia, affermando che la persecuzione antisemita non fu che uno degli aspetti della tragedia, quindi la differenza razziale non era stata centrale durante il ventennio. In realtà, la razza era già da tempo diventata elemento ordinante di fattori sociali, perché la comunità nazionale italiana viene divisa in base proprio alla sua appartenenza razziale. Dal 1943 cominciano le deportazioni, ma questo non vuol dire che in precedenza non ci siano state discriminazioni e differenze. La lettura di De Felice, però, ha avuto un forte influsso sugli storici per decenni, fino agli anni novanta; infatti, sono stati molti gli storici che hanno ritenuto l’idea di razza secondaria nel fascismo, e soprattutto sviluppatasi solo a seguito delle leggi razziali naziste.
Solo in anni recenti si è cominciata a vedere in modo differente la situazione, esaminando le reali radici storiche dell’antisemitismo, molto più antiche di quello che spesso si pensa, e soprattutto intrecciate in modo complesso con quelle legate anche alla ricerca storica sul rapporto tra l’Italia fascista e le sue colonie.
Bisognerebbe infatti parlare di razzismi, legislazioni razziste, al plurale, perché come diversi storici dell’antisemitismo hanno analizzato, il vero momento in cui una chiave di lettura razziale entra nella legislazione italiana è il 1937, l’anno precedente alle leggi razziali. Quella del 1937 è una legge promulgata a seguito della conquista dell’Etiopia, perché si riteneva necessario cominciare a regolamentare i rapporti tra la popolazione italiana ed i popoli sottomessi; sembra essenziale quindi andare a limitare la possibilità di rapporti, quindi vengono introdotte delle sanzioni per i rapporti di legame coniugale tra i cittadini ed i sudditi. Viene quindi immessa un’idea di razza per definire la società.
Bisogna sottolineare come nell’Italia del fascismo fossero tre le letture razziali della società: biologista, storico culturale, esoterico spirituale. Questa è una divisione classica, che è stata più volte messa in discussione per le frequenti sovrapposizioni.
Andando a vedere i rapporti tra Mussolini e l’antisemitismo alla luce di un’analisi del ventennio, questi in realtà sono molto più stretti e frequenti di quel che si è solito ritenere pensando che il fascismo si sia avvicinato a questa concezione solo per le idee di Hitler. In realtà sono sempre stati pochi gli ebrei con ruoli importanti o di comando all’interno dello Stato fascista, e non ci sono ebrei che siano riusciti ad ascendere a delle cariche superiori. Inoltre, già dai suoi primi discorsi, Mussolini ha sempre parlato degli ebrei come dei nemici. Prima del 1938, però sono state molte le famiglie di origine ebraica che hanno sostenuto il fascismo, soprattutto per l’idea di nazionalizzazione laica.
La parola Cultura viene analizzata dalla professoressa Tarquini, che parte dalla definizione data in modo ufficiale dagli scritti del partito fascista: cultura come concezione della vita. Infatti, una delle caratteristiche centrali della cultura fascista, che si può ritrovare in generale nel nazionalismo, è la stretta connessione tra cultura e politica, che va a costituirne il vero valore. Di conseguenza, un pensiero ha valore solo se legato più in generale al pensiero politico. Questo ha portato gli storici ad avere molte difficoltà nel definire con precisione la cultura fascista.
L’universo culturale del fascismo è molto ampio, ma si tratta di una cultura politica, ne serve gli scopi e va sempre intesa all’interno di una direzione politica fornita da un partito politico o da un regime.
Nelle varie aree culturali, bisogna riuscire a comprendere quali tracce abbia lasciato il fascismo. L’elemento che va a definire la cultura dal 1922 al 1943 è l’ideologia. Si è ritenuto che i fascisti di fatto non avessero idee, ma non è così: c’è un’ideologia di miti così come afferma Sorel.
È necessario quindi avere ben presente lo schema che dalla politica culturale passa per i campi del sapere fino ad arrivare all’ideologia. È sempre essenziale comunque avere ben presente l’importanza dell’oggettività storiografica durante l’analisi.
Come mai gli intellettuali italiani sono stati fascisti? Perché, in generale, gli italiani dal 1922 al 1943 sono stati fascisti?
Si potrebbe dire che nel ventennio attraverso la politica culturale del fascismo si riesce ad estendere l’ideologia a tutto il paese, dando particolare attenzione ai giovani ed alla loro educazione. Sempre in questa politica, centrale fu il contributo di Gentile. Tutte le attività scolastiche, inoltre, sono legate alle attività del GIL. Si aspira alla creazione di un uomo nuovo, una nuova razza di italiani, che devono essere italiani in quanto fascisti. I giovani però non erano gli unici verso i quali l’attenzione del partito si rivolgeva: diventa infatti centrale anche l’attenzione data alle donne ed ai lavoratori.
Perché la maggior parte degli intellettuali si presta a tutto questo, in modo consapevole? Spesso si pensa che non ci sia stata una vera cultura fascista, mia in realtà dentro questa definizione è presente di tutto, stili che si contrappongono e si innovano, seguendo direzioni eterogenee per quanto tutti sotto lo stesso regime. Non conta l’aspetto estetico condiviso, perché quello che si condivide è essere fascisti, ed è proprio questo aspetto ad unire gli artisti.
La definizione di ideologia intesa come l’unione del mondo di un determinato gruppo sociale che appartiene ad un determinato gruppo politico, è adatta al contesto del fascismo. Il mito centrale dell’ideologia fascista è quello dello stato, che si pone come intermediario tra gli individui.
Studiare questi aspetti, quindi, non vuol dire solo studiare la cultura italiana in generale tra le due guerre, ma studiare la cultura fascista nello specifico, una cultura politicizzata.
In un regime totalitario si può anche scegliere di stare in silenzio, strada che in diversi intrapresero, ma nel momento in cui si partecipa, legandosi alla politica nelle proprie attività, si è fascisti. Il fascismo può anche non tornare, ma la violenza del potere si.
La parola Antifascismo, infine, viene analizzata dal professor Di Maggio. Per parlare di antifascismo, bisogna collocarlo in una prospettiva che parte dagli anni venti ed arriva fino alla contemporaneità. Infatti, si tratta di un fenomeno internazionale, declinato in modi differenti, che può essere studiato in una prospettiva globale. Si tratta di un insieme di pratiche, di rapporti ideologici e culturali, un vettore di trasformazione per delle comunità a livello nazionale ed internazionale.
Nella sua prima fase, si può parlare di un antifascismo soprattutto italiano, con fenomeni di lotta armata ed autodifesa contro la violenza squadrista e come protesta per i perseguitati ed esiliati politici. Fu un periodo di manifestazione di solidarietà internazionale, e comincia ad esserci anche il sostegno da parte del regime comunista. È un periodo di fondazione di miti. Comincia poi un’ulteriore fase, quando il fascismo diventa internazionale, per via di vari eventi che si susseguono: la presa del potere da parte di Hitler, l’aggressione dell’Italia all’Etiopia, la guerra in Spagna, il conflitto tra Cina e Giappone. Nel 1935 c’è anche il settimo congresso del Comintern, che comincia ad orientarsi verso un’esplicita lotta al fascismo accettando anche la collaborazione di altre forze, borghesi ma antifasciste. Inoltre, viene anche rieletto Roosvelt, democratico, altro personaggio intorno al quale si formeranno delle forze antifasciste.
Molto importante diventa il binomio fascismo – capitalismo, non solo per i comunisti ma in generale. L’antifascismo diventa un elemento essenziale per essere una democrazia libera.
Con il patto Molotov-Ribbentrop però la situazione cambia, perché si rompe il fronte antifascista internazionale, già indebolito dagli accordi di Monaco, fronte che fino a quel momento aveva avuto nell’Unione Sovietica una guida e che comincerà a risorgere solo con l’inizio della guerra. Infatti, dopo l’attacco all’Unione Sovietica e con l’ingresso in guerra degli Stati Uniti, il problema del fascismo torna ad essere centrale e si sviluppa di nuovo un forte antifascismo. Si può cominciare a parlare di universalismo democratico liberale antifascista, di universalismo comunista, di universalismo cattolico.
Alla fine della guerra, sembra poter tornare in piedi la grande alleanza antifascista, ma in realtà non fu così. Infatti, cominciano ad esserci delle prese di posizione distanti rispetto a quelle delle classi dirigenti, avvertite come coloro che avevano portato alla catastrofe. Tutto questo finisce con la guerra fredda, dove da una parte si trova l’antifascismo democratico liberale degli Stati occidentali, dall’altro universalismo comunista dell’est: proprio questo antifascismo comincia ad essere strumentalizzato dagli Stati dell’ovest per opporsi ai paesi comunisti, sostenendo che anche il totalitarismo comunista dovesse essere considerato una forma di fascismo. Comincia anche a dissolversi il binomio fascismo – capitalismo, avvertito come troppo vicino alle idee del comunismo dalle quali ci si voleva tutelare.
L’antifascismo è ancora molto presente nel dibattito pubblico, il problema è capire di quale antifascismo si stia parlando. Infatti, nel tempo è diventato veicolo di rappresentazione ideologica per più gruppi, quindi veicolo ottimale per più idee. Quello che è certo, è la crisi del modello antifascista legato all’idea fascismo – capitalismo, che aveva però in se’ anche delle idee di riforma sociale che sono scomparse nella maggioranza dei dibattiti.