RadioSapienza

Il Futuro Ascoltalo QUI. La radio ufficiale della Sapienza

La coscienza civile tra impegno e obiezione

Per quanto ci possa sembrare strano, soprattutto in una situazione in cui la guerra è alla porta di casa come in quella attuale, la sensibilità rispetto al ruolo delle armi nella società non è sempre stata la stessa. O meglio, l’Italia, per gran parte della sua storia nazionale, non ha avuto un dispositivo legislativo che tutelasse coloro che facevano obiezione di coscienza rispetto alla leva militare e che, quindi, rifiutavano il servizio obbligatorio. Solo nel 1972, durante uno dei governi più spostati a destra della prima repubblica a fronte del grande consenso riscosso dal MSI, il Parlamento riesce a votare, con grande difficoltà e compromessi, la legge Marcora attraverso la quale viene decriminalizzato l’obiezione di coscienza e viene istituito il servizio civile nazionale.

A 50 anni da quella legge l’università di Roma La Sapienza in collaborazione con la Rete Le vie della non violenza, Anci Servizio Civile Nazionale APS e Archivio Disarmo ha organizzato un convegno per ricordare e analizzare quel periodo storico, i suoi protagonisti politici e per riflettere sul ruolo della coscienza civile dagli anni ’70 fino ad oggi. I lavori della prima sessione sono stati introdotti dai saluti istituzionali del Professor Tito Marci, preside della Facoltà di Scienze Politiche, e il Professor Alessandro Saggioro, referente Sapienza per la Rete Università per la Pace. Durante il convegno è stato presentato il libro e la testimonianza di tre giovani ragazzi: Giovanni Esperti, Andrea Pantarelli e Alessandro Ricci, e hanno relazionato il Proff. Guido Panvini, Marco Labbate e Mao Valpiana. Di seguito si sono confrontati Carlo Fracanzani, Luca Marcora e Antonio Riva.

I due effetti della legge Marcora sono profondamente collegati: la legittimazione dell’obiezione di coscienza, dopo decenni di processi contro coloro che rifiutavano la leva militare, rappresenta il punto di arrivo di una sensibilità diffusa e trasversale comune non solo alle forze progressiste di sinistra ma anche al mondo cattolico; tra la fine degli anni ’60 e gli inizi del ’70, infatti, si concentrano in Italia le conseguenze dei movimenti sessantottino e pacifista contro la guerra in Vietnam da un lato e le ripercussioni del Concilio Vaticano II dall’altro: il tema fondamentale è il modo di ripensare la violenza che, ormai, non può essere più giustificata. Una nuova idea etica si propone basata sulla non-violenza di tradizione ghandiana che viene recepita da parlamentari sensibili come Luigi Anderlini  (Sinistra Indipendente) e lo stesso Giovanni Marcora. Una simile sensibilità era ormai già radicata e riflesse nella cultura del nostro Paese, fuori dai palazzi, nella musica di Calvino-Liberovici, Dove vola l’avvoltoio (1958),  e negli insegnamenti di Don Milani. 

Che ruolo aveva, allora, il servizio civile nazionale? Alcuni, limitandone il valore, lo definivano una sostituzione del servizio militare ma in realtà è la prosecuzione di quel messaggio e metodo non-violento che rappresenta il senso profondo dell’obiezione di coscienza. Questo servizio era pensato e rimane ancora oggi come un modo alternativo per servire la Patria senza utilizzare le armi, e in questa sua professione mantiene e custodisce il suo senso pacifista. Riportando le parole del già onorevole Francanzani: è il metodo per non scadere nell’individualismo ma per permettere ai giovani di dare un apporto alla propria comunità e il suo valore assoluto si esprimeva proprio in quanto scelta per la comunità. 

La prospettiva aperta e pacifista del servizio civile si coniuga con una prospettiva ampia e superiore rispetto ai confini nazionali: questo stesso servizio richiama ad una coesione solidare dell’Europa, garantita anche dal servizio civile europeo. Questa palestra di servizio alla Patria, nella sua accezione non nazionale ma vasta, europea, mondiale, continua ogni giorno a formare nuovi giovani; per questo il libro scritto a tre mani da ragazzi con la collaborazione dell’Archivio Disarmo rappresenta la migliore testimonianza della vittoria di quella cultura, riconosciuta con la Legge Marcora ma nata ben prima.