L’aula Partenone dell’edificio di Lettere e Filosofia ha ospitato nella giornata odierna, 2 febbraio, la presentazione del libro Un’altra prospettiva: la vita e il teatro di un Maestro, con ospiti gli autori Peter Stein e Gianluigi Fogacci e con Marta Marchetti e Andrea Peghinelli come moderatori. L’autobiografia, scritta a quattro mani, frutto di giorni di colloqui tra i due coautori, ha offerto un momento importante e significativo per la facoltà per dialogare con una figura fondamentale del novecento europeo; infatti, presentando il contenuto del libro, il regista ha raccontato frammenti della sua vita e ha espresso somme considerazioni sull’arte e il teatro.
Lo stile della pubblicazione è stato il punto di partenza: un dialogo. La conversazione è la base dello scambio umanistico ed è l’occasione per la conoscenza degli uomini; così il Prof. Peghinelli introduce la testimonianza degli autori sulla nascita dell’elaborato. La prima messa in scena in Italia è stata l’occasione, a 23 anni, – racconta Fogacci – per la mia prima esperienza professionale e la prima con Peter Stein. Dopo la seconda collaborazione nel 2004 ha preso forma l’idea di condividere il privilegio che sento di aver avuto. Dopo tre giorni di registrazione e ultimata la prima stesura – dopo che il testo è arrivato all’editore – il percoso è stato subito ultimato.
Un’impresa difficile raccontare una grande storia, una e allo stesso tempo due: la grande storia del secolo scorso e la storia di una grande persona. Il libro rappresenta, come si è discusso successivamente, anche l’occasione per andare al di là della conoscenza da manuale. Conoscere la persona che ha realizzato quell’arte e da cosa questa sia derivata. Ricordo la situazione tragica per la Germania – racconta il regista – quando avevo solo quattro anni e vivevo a Berlino, anni di fame e povertà. A sette anni non sono potuto andare a scuola e non ho avuto la possibilità di costruire amicizie. E dalla stessa origine familiare che il carattere del teatro dello Stein è stato influenzato: Mio padre era ingegnere e voleva che anche io lo fossi. Quando Peter Stein sceglie il teatro, porta con sè il suo trascorso, la sua concretezza e praticità.
Ma che significa scegliere il teatro? Nel 900 del regista, è in primo luogo un dialogo con altri, con i grandi, che ad un certo punto egli smette di seguire: in giovane età ero brechtiano e poi sono diventato antibrechtiano. Un dialogo con l’attorialità che rimane la controparte necessaria della grande opera teatrale: in un periodo in cui nel treatro tedesco gli attori chiedevano un cambiamento poiché non avevano voce in capitolo nella rappresentazioni, abbiamo cercato di costruire un teatro dove l’attore diventasse autore, coinvolgendolo in modo tale – Fogacci riportando le parole di Stein – da poter trasmettere la bellezza del teatro, quando lo spettatore comprende che le parole sono create in quel momento nell’anima dell’attore.
Ma il teatro come arte partecipa alla storia: con Saved, esordio del ’67, il registra inaugura una forma di teatro impegnato che vede ancora maggiore forza con discorso sul Vietnam: si trattava di fare una mobilitazione dal momento che le informazioni che ci arrivavano erano parziali. Arrivammo a fare una colletta, raccogliere denaro – racconta il regista – ma di quelle proibite: per comprare le armi per i vietnamiti invasi.
Accanto al teatro della contemporaneità, l’autore rappresenta una delle vette della riflessione sulla parola, su una parola che racconta la storia passata, la conserva e la trasmette con fedeltà; un teatro filologico. Questa postura esistenziale rispetto all’idea della ricerca – come commenta la Prof.ssa Marchetti – si riflette nell’impresa dell’antico di Peter Stein: il confronto già in giovane età con le lingue antiche, greca e latina, poi con l’inglese medievale gli hanno permesso di affrontare le traduzioni dei grandi passaggi teatrali del tempo e dell’europa. Eppue oggi si cerca di tradire l’antico alle istanze della contemporaneità? Una traduzione non corretta simile è un esercizio autoreferenziale: io non voglio che il teatro mi porti nell’oggi, voglio che mi dia una diversa prospettiva.
La traduzione dell’Oresta, ancora considerata pregievole e scientificamente corretta, costituisce un esempio eccellente del credo dell’autore: il teatro è stato inventato quando al momento della performance del coro si è unita la lingua scritta, dell’intelligenza, dell’individuo: quando al momento del solo cantare è seguito quello anche del parlare. La democratizzazione e la medializzazione hanno rovesciato i rapporti tra performance e testo fino al punto che la prima prevale sul secondo.
L’incontro, avvenuto simbolicamente nell’aula Partenone della nostra università, circondati dalle rievocazioni di quell’antichità che l’autore ha nella sua vita raccontato in un testo, ha avuto grande valore: anche l’università ha potuto accogliere il vento della storia europea nei propri corridoi.