La Pirateria informatica al centro del dibattito nel convegno “Pirati per sempre?“
“Nel ‘600, i pirati del mare si appropriavano illegalmente e con la violenza della merce altrui”, ricorda Massimiliano Capitanio, commissario di AGCOM, in apertura del convegno “Pirati per sempre?”, tenutosi nella mattinata del 20 aprile presso il Centro Congressi d’Ateneo, all’Università La Sapienza di Roma.
I pirati di oggi non navigano in mare ma sul web, tra smartphone e PC. Non hanno le sembianze di Jack Sparrow, ma di ognuno di noi, perché tutti, chi più chi meno, compiamo atti di pirateria informatica. Ce lo ricorda anche Alberto Marinelli, direttore Coris- Dipartimento di comunicazione e ricerca sociale, della Sapienza, che ammette di aver guardato una partita in streaming su un sito pirata di recente, durante un viaggio all’estero. Dunque, oggi pirati siamo tutti, senza eccezioni: ma cosa vuol dire davvero?
Quale rilevanza e impatto ha la pirateria informatica sul mercato dell’audiovisivo? Quali sono i ruoli delle istituzioni, delle società di telecomunicazioni e degli utenti?
La natura socioculturale del fenomeno
Questi sono alcuni tra gli interrogativi che la tavola rotonda indetta dal convegno si pone di analizzare.
- Ai microfoni, con il ruolo di moderatore, c’è Aldo Fontanarosa; alla tavola prendono parte: Benedetta Alessia Liberatore, direttrice AGCOM per i servizi digitali, Federico Bagnoli Rossi, presidente FAPAV, Giovanni Bruno, docente di diritto privato e della comunicazione, Laura di Raimondo, direttore generale Asstel- assotelecomunicazioni, Luigi De Siervo, amministratore delegato di serie A, Barbara Mazza, docente di gestione e comunicazione degli eventi, Gian Luca Berruti, direttore del nucleo di progetto del servizio autorità e sanzioni dell’agenzia per la cybersicurezza nazionale, Dario Simeoli, consigliere di stato.
La pirateria informatica, che agli occhi dei più appare come un peccatuccio da niente, costa la perdita di circa 10.000 posti di lavoro all’anno, oltre che ingenti perdite economiche. Nonostante l’Italia non sia più nella black list dal 2013, la pirateria resta un nodo intricatissimo nel nostro Paese: colpisce il mondo dell’audiovisivo, editoriale, sportivo. Come tutti i nodi da sciogliere, è sempre necessario comprendere quale sia la sfumatura sociale e culturale di tale fenomeno; riavvolgendo il nastro, si comprende che fronteggiare il problema risulta particolarmente complicato. Questo a causa di una tolleranza e anche di una certa simpatia un po’ beffarda nei confronti dei pirati, nel sentire comune. Sintomi di un’indulgenza poco lungimirante, atteggiamento tipicamente italico.
Guardando un film o una partita di calcio su un sito pirata, pensiamo semplicemente di aggirare il sistema, ribellandoci alla legge degli abbonamenti. Non badiamo però alle conseguenze che il nostro mancato abbonamento ha su chi lavora per la riuscita di quel film o di quel match. E non parliamo di attori o di calciatori a cui il nostro mancato abbonamento pesa come l’assenza di una goccia d’acqua nell’oceano. E non parliamo nemmeno soltanto di Netflix o Dazn. Parliamo anche del giovane assistente di regia, vittima di stage infiniti, di paghe inadeguate e licenziamenti ingiusti; perché meno abbonamenti significano prezzi più alti per i pochi abbonati, che all’ennesimo rinnovo con aumento decidono di non rinnovare al prossimo mese, e quindi diminuzione del potenziale di nuovi fruitori. S’innesca, dunque, una reazione a catena che nuoce in primis ai lavoratori.
Come combattere la pirateria informatica:
Il ruolo della scuola e della formazione
Combattere la pirateria informatica è un atto di civiltà, volto alla lotta per la “sopravvivenza culturale”, come spiega Massimiliano Capitanio: tutelare il diritto d’autore e della proprietà intellettuale è necessario per salvaguardare la libertà nella produzione artistica e culturale. Per comprendere ciò è necessario sensibilizzare le nuove generazioni, come sostiene nel suo messaggio Lucia Borgonzoni, sottosegretaria di stato al ministero della cultura con delega al diritto d’autore. La sensibilizzazione deve partire dalle scuole, per formare una nuova generazione di spettatori e fruitori di contenuti digitali consapevoli. L’educazione civica, la cui ora è stata resa obbligatoria, dovrebbe includere anche una parte di educazione digitale, in cui bisognerebbe, inoltre, aiutare a comprendere che dietro la pirateria si nascondono criminali a cui non va strizzato l’occhio.
La repressione cieca, senza un ridimensionamento culturale a monte, non puo’ che essere una strategia palliativa e fallace.
Un’altra sfida per il futuro è quella di istituire opportuni corsi e scuole per formare gli operatori di comunicazione digitale, come afferma il prof. Giovanni Bruno. In questo modo si riuscirebbe a dare una forma concreta alla figura professionale dell’esperto di comunicazione digitale, figura di cui è facile intuire l’importanza ma di cui ancora si hanno contorni poco definiti.
Il ruolo delle istituzioni
È importante sottolineare i passi in avanti che il nostro Paese ha compiuto in materia di contrasto alla pirateria. Di recente, la Camera ha approvato all’unanimità un disegno di legge che concede la libertà operativa, con conseguente chiusura di un determinato sito web in seguito alla segnalazione di un abuso, in 30 minuti, anziché in tre giorni. Si evidenzia, inoltre, il ruolo primario delle società di telecomunicazioni; Laura Di Raimondo, direttrice generale ASSTEL, conferma una chiara presa di posizione da parte delle suddette agenzie, anche a discapito dei loro stessi ricavi, che negli ultimi dieci anni sarebbero dimezzati.