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Geografia, demografia ed economia delle migrazioni: problema o risorsa?

Geografia, demografia ed economia delle migrazioni è il titolo del seminario che si è tenuto ieri, giovedì 27 aprile, nell’Aula Calasso della Facoltà di Giurisprudenza e ha visto protagonisti tre noti studiosi e docenti della nostra università: Cristina Giudici, Pierluigi Montalbano e Fabio Celata. Nell’ambito del corso interdisciplinare sullo studio delle popolazioni e dei loro scambi, questo seminario si è concentrato sullo studio delle migrazioni da tre diversi punti di vista: demografico – attraverso l’intervento della prof.ssa Giudici -, economico – con il professor Montalbano – , e geografico con il prof. Celata.
Sulle migrazioni si è detto e si continua a dire di tutto. E’ un argomento affrontato quotidianamente tra le mura di casa, nei palazzi del potere e nelle sedi amministrative, e sempre più spesso viene presentato come un’urgenza, una minaccia insistente a cui dobbiamo essere pronti. Facendo cosa? Attuando meccanismi di chiusura oppure di accoglienza? Ecco il dilemma che divide le aule del Parlamento e su cui di disinformazione se ne fa troppa.
Nel convegno tenutosi ieri, l’obiettivo dei tre professori è stato proprio quello di fare chiarezza, mostrando – attraverso l’ausilio di studi scientifici e statistici – quale sia effettivamente la portata del fenomeno migratorio e le conseguenze, positive e negative, che esso ha sulle nostre vite.
Apre il convegno la professoressa Giudici, docente associata di demografia del nostro ateneo, che parte dall’enorme aumento demografico a cui stiamo assistendo nell’ultimo secolo in tutto il pianeta: siamo passati da 4 miliardi a 8 miliardi in soltanto 48 anni! Questo è dovuto al fatto che alcuni Paesi del mondo (quelli europei e nordamericani insieme all’Australia e al Giappone) hanno completato la transizione demografica, mentre altri – come quelli africani – ancora no. I continenti hanno assunto allora un diverso peso demografico, dividendosi in zone a più alto tasso demografico e in zone a più basso. Queste distinzioni non corrispondono, come ben sappiamo, a un medesimo livello di sviluppo culturale ed economico. I flussi migratori stanno interessando tutte le aree del mondo e sono il risultato della globalizzazione. Interessante notare come – puntualizza Giudici – “le migrazioni avvengono in alcune aree all’interno del sistema piuttosto che fuori dal sistema“: per esempio in America è molto più frequente che ci siano migrazioni dai paesi dell’America Latina verso gli Stati Uniti che dai Paesi del Sud America verso l’Europa. Le migrazioni, perciò, contrariamente a quello che si pensa, tendono a essere regionalizzate. E soprattutto non sono affatto quella grande invasione che abitualmente ci viene propugnata: in Italia ci sono 5 milioni di migranti; nel mondo sono 280 milioni, circa il 3% della popolazione globale. Un dato che, al di là di ogni ideologia, è oggettivamente non preoccupante. Oltretutto le donne migranti contribuiscono alla fecondità del Paese ospitante. Nel caso dell’Italia, per esempio, le donne migranti provengono prevalentemente dalla Romania, dal Marocco e dall’Albania. E proprio le donne africane contribuiscono di molto alla crescita della natalità, a differenza delle donne dell’Est Europa le quali, giungendo in tarda età nel nostro Paese, si dedicano a lavori di cura domestica.
Una certa quantità di migranti è necessaria ma non sufficiente“. Questa è la massima che chiude l’intervento di Giudici, la quale precisa – in chiusura – che anche i migranti attualmente occupati, di qui a breve, raggiungeranno l’età pensionistica e il problema della mancanza di figli e dell’invecchiamento della popolazione non si sarà risolto. E’ necessario, perciò, aumentare l’età pensionistica e allargare – facilitando il più possibile – il lavoro femminile, per esempio attraverso la possibilità del part time, che conceda alle donne di realizzarsi professionalmente e al tempo stesso di occuparsi della famiglia.
A questo punto interviene il professor Montalbano, professore ordinario di politica economica della nostra facoltà, che si concentra sugli effetti positivi della migrazione per le politiche economiche e commerciali dei Paesi accoglienti: “la mobilità renderebbe l’occupabilità più facile“. Lo spostamento di meno del 5% dei lavoratori produrrebbe risultati maggiori di quanti ne avremmo se eliminassimo tutte le barriere commerciali esistenti. Il flusso migratorio, dunque, ha degli effetti sorprendenti dal punto di vista economico, sia sul breve periodo che sul lungo periodo. Nel breve periodo l’immigrazione ridurrebbe i salari e porterebbe beneficio alle industri e agli investimenti, perché una riduzione dei salari prevede un conseguente aumento del profitto del capitale. Nel lungo periodo non solo l’immigrazione non avrebbe più alcun effetto né sui salari né sui profitti, ma tutti i settori che usano intensivamente il lavoro potrebbero espandersi, cosicché gli immigrati riuscirebbero a trovare lavoro senza alcuna riduzione salariale. Nelle battute finali del suo intervento, Montalbano mostra come le rimesse degli immigrati attualmente costituiscono la fonte più importante di sviluppo economico dei Paesi in via di sviluppo, a testimonianza di come l’immigrazione sia importante per migliorare le condizioni economiche del Paese accogliente, ma essenziale per lo sviluppo del Paese di partenza.
Conclude il seminario il professor Celata, geografo Sapienza, che si occupa di analizzare il modo in cui gli immigrati si concentrano nelle aree urbane e quale criterio scelgono per il loro insediamento. I migranti, sorprendentemente, tendono a concentrarsi nelle zone centrali, là dove ci sono più opportunità di lavoro e dove è più facile spostarsi con i mezzi pubblici (non disponendo di automobili). Il paradosso è che gli stranieri tendono a localizzarsi proprio dove gli affitti delle abitazioni sono più alti. Molto spesso le zone di concentrazione sono le stazioni o i mercati centrali. Il professore poi pone un quesito: è un bene o un male questo processo di segregazione? E’ sicuramente un problema. La segregazione conduce a pratiche discriminatorie che impediscono ai migranti di accedere a un mutuo o a un affitto in zone abitate prevalentemente da bianchi. Effetto di ciò è la formazione di enclavi, separati dal resto della città, enormemente ostacolanti, sia per l’integrazione sia per l’acquisizione della lingua.
Prendendo in considerazione la città di Roma, è interessante notare come gli immigrati meno segregati sono i romeni che, di fronte aun migliore status economico, si disperdono per la città e sono maggiormente integrati. Il caso del quartiere Esquilino – conclude Celata – è l’esempio chiaro di come gli immigrati tendano ad addensarsi in zone centrali, che progressivamente da degradate diventano “cool”, attraverso l’apertura di locali giovanili e la riqualifica urbana degli edifici.


Ora hai un’idea più chiara dell’immigrazione? Lo studio scientifico e l’analisi demografica sono il connubio migliore per capire come funzionano i flussi migratori e soprattutto per avvicinarsi a questo argomento evitando cliché e pregiudizi, che – spesso – sono nemici della verità.

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