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Il secolo verde: presentazione del nuovo libro di Francesco Rutelli alla Sapienza

“Questo libro è dedicato ad una persona senza volto dai 16 ai 30 anni”: il libro di cui si parla è “Il secolo verde”, di Francesco Rutelli, presentato nella mattinata del 31 maggio alla sede delle Sapienza di Piazza Borghese.

La questione climatica

Il secolo verde è iniziato nel 1970, con la presa di coscienza internazionale sulla questione climatica che si concretizza nel primo Earth day. Il fenomeno ha una sua risonanza anche in Italia, dove viene istituito il Club di Roma, a cui prendono parte diversi intellettuali, e che nel 1972 pubblica un rapporto sui limiti dello sviluppo. Si inizia così a delineare la necessità di pianificare e arginare lo sviluppo industriale: siamo nel contesto del boom economico, dell’illusione di sviluppo senza limiti.

Da quel momento la questione climatica viene portata all’attenzione dell’opinione pubblica; termini come “sostenibilità” iniziano a diffondersi e imprimersi nel linguaggio comune. Si definisce come sostenibile ciò che puo’ durare nel tempo, che si puo’ sostenere.

“Lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”

si legge come definizione data nel Rapporto Brundtland, pubblicato nel 1987 dalla Commissione sull’ambiente e lo sviluppo.

L’impegno internazionale: tra traguardi e controversie

Nel corso degli anni, la presa di coscienza politica è sfociata in un impegno internazionale che ha portato a diverse conferenze e accordi, come ad esempio la Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change da cui UNFCCC), nota anche come Accordi di Rio, del 1992, che aveva come obiettivo la riduzione delle emissioni dei gas serra, alla base del riscaldamento globale, cui Rutelli ha partecipato. O gli Accordi di Parigi del 2015, che si ponevano l’obiettivo si tenere l’innalzamento della temperatura media globale di 1.5 gradi al di sopra rispetto ai livelli pre-industriali.

L’anno prossimo, ricorda Rutelli, la Cop28 sarà ospitata dagli Emirati Arabi Uniti, il cui sultano è l’amministratore delegato dell’Abu Dhabi National Oil Company: è appropriato che a gestire i lavori della più importante conferenza sui cambiamenti climatici sia proprio il capo di una multinazionale del petrolio?

Insomma, l’impegno, internazionale e non, è costellato di controversie e conflitti d’interesse: ci si muove con consapevolezza ma con, forse, scarso impatto reale, verso obiettivi che sembrano sempre più utopie. Basti pensare all’India, che entro il 2070 dovrebbe azzerare le emissioni di CO2, ma che nei soli prossimi 5 anni prevede di costruire diverse nuove centrali a carbone, come spiega l’autore.

L’attivismo giovanile: il caso di Ultima Generazione

Ciò che è stato fatto finora non è abbastanza. Gli eventi climatici estremi stanno cambiando il volto di intere città. Dinanzi all’urgenza di un decisivo cambio di rotta che segni il passaggio dall’utopia al verosimile, diversi movimenti giovanili si sono sollevati in un coro di protesta. Migliaia di giovani (quelli dai 16 ai 30 anni, citati come dedicatari ideali del libro), hanno impugnato cartelloni e megafoni e sfilato in cortei nelle maggiori città europee e mondiali: nasce nel 2015 il movimento Fridays For Future. Molto più noto alle attuali cronache e attenzionato dall’opinione pubblica, è il movimento Ultima Generazione: attivisti che per portare l’attenzione sulla questione climatica si servono di gesta di protesta simbolici. Dal blocco del Raccordo Anulare, alla zuppa di ceci sul quadro di Van Gogh, al carbone vegetale nella Barcaccia di Piazza di Spagna. L’opinione pubblica non simpatizza per gli attivisti di Ultima Generazione, e anzi muove loro varie accuse: è un gesto ecologico imbrattare monumenti d’interesse per poi costringere a sprecare litri e litri d’acqua per ripulire?

La percezione del tema e la partecipazione collettiva

Una dottoranda in aula alza la mano: “perché sono stati raggiunti risultati così esigui finora?”

“Se le cose non cambiano è perché il popolo non le pretende”.

Così risponde Rutelli.

Ma perché il popolo non lo ha preteso e, forse, non lo pretende ancora abbastanza?

La risposta di Rutelli è semplice: il cittadino ideale, non vede dei risultati concreti, non tocca con mano la necessità e i potenziali benefici di una transizione ecologica e digitale. In sostanza, continua Rutelli, bisogna dimostrare che queste strategie creano nuovi posti di lavoro. Non tolgono, ma aggiungono.

Dunque, è giusta l’azione di gruppi come Ultima Generazione? Giusta, certamente, perché la protesta in democrazia è un diritto sacrosanto e perché sicuramente facendo parlare di sé si fa parlare anche della propria causa. Ma un attivismo che scatena antipatia nell’opinione pubblica, rischierebbe di risultare controproducente.

Nell’introdurre l’incontro, la prof.ssa Lucina Caravaggi ha parlato dell’opposizione tra “il grande e il piccolo”, ossia del divario enorme nella percezione comune, dei grandi, di tutti coloro che realmente possono muovere le fila di un’ipotetica rivoluzione verde, e dei piccoli, i piccoli cittadini che fanno la differenziata, non buttano le cicche per strada, usano i mezzi pubblici.

Ciò che emerge è proprio questo: c’è un grosso problema di percezione collettiva da affrontare e risolvere. Iniziare a conciliare il grande e il piccolo, sensibilizzare i cittadini sugli effettivi e concreti vantaggi della rivoluzione green, come la creazione di posti di lavoro, potrebbe essere utile per convincere il popolo a pretenderla e, di conseguenza, pretendere un’attenta pianificazione politica. E potrebbe essere anche la chiave di volta anche per la costruzione di un attivismo più lungimirante e coinvolgente.

Abbiamo approfondito il tema con Francesco Rutelli.

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