RadioSapienza e Cinemonitor alla Festa di Roma con Alice nella Città
Nella sera della decima giornata del Festival del Cinema di Roma, Alice nella Città ha presentato l’ultima pellicola di Warwick Thornton, regista e sceneggiatore australiano, presentata in precedenza quest’anno al Festival di Cannes.
Nell’Australia meridionale degli anni Quaranta, un orfano aborigeno viene portato nel cuore della notte in un monastero e affidato alle cure di Suor Eileen e dei suoi collaboratori. Il “nuovo ragazzo” (interpretato da Aswan Reid) dovrà confrontarsi con una cultura a lui estranea e comprendere una religione sconosciuta, sconvolgendo la vita dei residenti dell’orfanotrofio-monastero.
Il volto noto dell’Australia è sicuramente quello della Sydney Opera House o delle distese desertiche popolate da animali mortali: è in quest’ultimo scenario, nella piccola cittadina di Burra, che viene girato l’intero film. Mentre si reca ad Alice Spring, è il paesaggio brullo e isolato a colpire Thornton, che in un’intervista lo definirà “beautiful in its ugly way”. La storia del “new boy” è un lungometraggio quasi autobiografico che Thornton scrisse all’età di 18 anni ma che venne conservato con cura fino al momento giusto. “I always say that I wrote it as a child and I directed it as a grumpy old man” racconta il regista, anche lui come il protagonista, allontanato dalla sua terra natia e mandato a New York in un college spagnolo gestito da monaci benedettini per completare i suoi studi. Non è questa l’unica analogia con il giovane attore, entrambi sono infatti di origini indigene anche nella realtà.
Ad accompagnare il primo ruolo sul grande schermo del piccolo Aswan Reid troviamo Cate Blanchett nei panni di Suor Eileen, personaggio costruito con l’entrata in scena dell’attrice nella produzione del film. In principio la guida spirituale del “new boy” sarebbe dovuta essere una figura maschile, che nel film resta ma viene riscritta e resta nell’ombra. Suor Eileen viene presentata fin dalla prima scena con estrema umanità. Vengono mostrate le gambe fasciate, il volto segnato dal tempo. Dopo la morte del parroco è lei a prendere le redini del monastero, ad officiare le messe e perfino a battezzare i ragazzi, compito che solitamente è affidato al clero maschile, sostituendosi completamente alla figura paterna assente nella vita dei ragazzi. La controparte materna viene interpretata da Deborah Mailman nei panni di Suor Mama. Suor Eileen impartisce fin da subito, seppur con più indulgenza, un’educazione cristiana al nuovo orfano, che risponderà in modo inaspettato agli insegnamenti.
Il crocifisso è un’icona che nei film viene spesso rappresentata come ragione di sgomento. Il nuovo arrivato resterà colpito dall’immagine dell’uomo sofferente, tenterà di tirarlo giù dalla croce, di curargli le ferite e vestirlo. Anche Thornton nei suoi primi giorni al collegio viene colpito dalla figura del cristo crocifisso. Nella fantasia del piccolo protagonista (o nella realtà, questo non è ben chiaro) il crocifisso in legno si muove, respira, è vivo ed il bambino svilupperà un’empatia con quest’ultimo fino ad avere lui stesso le stimmate.
L’idea occidentale di religione si scontra con la spiritualità indigena, metafora rappresentata dalla magia del piccolo, un piccola sfera di luce i cui poteri restano avvolti nella nebbia (“the orb”). L’elemento sovrannaturale però cela anche un altro significato, molto più terreno: la magia rappresenta la diversità indigena, tema caldo in Australia in questi anni. Il focus del regista diventa quindi far riconoscere la sua presenza e prenderne atto per poter poi intavolare una conversazione a livello istituzionale. “In a blink of an eye something just became extinct” spiega Thornton, “my job and what I need to do as an indigenous person is [to] give a voice to the voiceless. Now that is so important to me”.
Carola Vannimartini