Dalle 16:00 alle 19:00 di mercoledì 13 marzo, ha avuto luogo l’incontro “Roma Capitale. La Città tra Modernità ed Eredità della Città storica” presso l’Archivio storico della Presidenza della Repubblica, a Palazzo Sant’Andrea, in via del Quirinale 30. Il convegno è stato organizzato dall’Archivio storico della Presidenza della Repubblica nel quadro delle iniziative seminariali che esso, a partire dal 2020, dedica al tema della “Formazione e trasformazione di Roma in Città Capitale”. Protagonista della discussione è stato “CarMe”, il progetto sul Centro archeologico monumentale di Roma a cura di Walter Tocci, consulente del sindaco di Roma per il Centro archeologico monumentale di Roma. Al tavolo con lui erano seduti Marina Giannetto, Sovrintendente dell’Archivio storico della Presidenza della Repubblica, Franco Purini, Professore Emerito di Composizione Architettonica e Urbana presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Roma “Sapienza”, Luca Ribichini, Professore di Disegno presso il Dipartimento di Storia, Disegno e Restauro dell’Architettura dell’Università di Roma “Sapienza” e Claudio Strinati, Storico dell’Arte e Segretario Generale dell’Accademia di San Luca.
A introdurre la discussione è stata Marina Giannetto, che dopo aver presentato i relatori e la situazione della capitale negli ultimi anni, ha parlato del concetto di tutela e del complementare principio di valorizzazione. È a partire da essi che si sedimentano regole, culture e saperi che l’Archivio Storico valorizza mediante la creazione di un legame ideale e culturale in grado di unire il presente al passato. La Sovrintendente ha poi concluso il suo intervento citando le parole che, durante un lungo intervento svolto nel Palazzo di Montecitorio il 20 settembre 1970, il Presidente della Repubblica Saragat pronunciava in funzione di rappresentante della Nazione: all’epoca si imponeva l’idea per cui “la vita contingente, povera e meschina della città e dei suoi abitanti spariva, e rimaneva solo il significato morale e religioso, politico e culturale, della millenaria tradizione”. “Oggi”, continuò il Capo dello Stato, “più che mai sentiamo il valore immenso di Roma Capitale, ispiratrice di alti sentimenti politici, sociali, morali, come l’hanno sentito i nostri avi, come l’ha sentito la nostra generazione”.
A dare continuità al suo discorso è stato Walter Tocci, che ha presentato il progetto sul Centro archeologico monumentale di Roma “CarMe”. Come da lui suggerito, il nome richiama il carme, un componimento poetico dal tono solenne e dal carattere propiziatorio che componevano gli antichi Romani. Poesie di questo tipo avrebbero dovuto attirare un buon auspicio per le grandi imprese ed è proprio quello che, come detto da Tocci, bisogna sperare per il progetto in questione, dato che negli ultimi 40 anni tutti gli altri sono andati in fumo. Il suo antenato è “Fori”, quello che negli anni ‘80 era presentato come un disegno solo parziale, che aveva per oggetto soltanto i Fori Imperiali. Ora invece l’ambizione è quella di coprire tutta l’area che va da Piazza Venezia alle Terme di Caracalla; passa per il Circo Massimo, fino ad arrivare al Tevere e al Campidoglio.
Ma di cosa si tratta concettualmente?
La parola chiave è “reincanto”: è proprio questo lo scopo del progetto, far tornare Roma allo splendore di un tempo ripristinando le funzioni che le sue vastissime aree monumentali vantavano in antichità. Un tempo esse erano i luoghi prediletti di incontro per giocare, studiare, passeggiare e svolgere tutte quelle azioni quotidiane che ad oggi sono riservate alla “città moderna”. Oggi invece quelle monumentali sono solo aree riservate al turismo di massa, e non possono più materialmente essere i luoghi mirabili della vita quotidiana. È dunque la mentalità delle persone che per prima va innovata; l’opera da realizzare è culturale prima che archeologica e architettonica: “il mio sogno è vedere dei bambini giocare a nascondino al Tempio di Marte Ultore”, ha dichiarato scherzosamente il sig.Tocci. Egli ha poi spiegato il significato del termine “reincanto” attraverso le parole di Livia Cannella: “reincanto significa ripensare la romanità nel nostro tempo, cioè tentare una nuova interpretazione della grandiosità storica nelle temperie del nostro secolo”. Per poi usare quelle di Alberto Moravia: “per capitale non si deve intendere solo la sede dello Stato, ma più essenzialmente un organismo culturale capace di rielaborare il passato al fine di proporre alla Nazione e al mondo nuovi immaginari di vita pubblica”. Ma Roma ad oggi non è tutto ciò, non rielabora il passato, piuttosto si limita a mostrarlo passivamente. Il relatore ha infatti dichiarato subito dopo: “ciò che oggi si vede nei più famosi monumenti di Roma non è affatto la Roma dei Cesari, ma l’interpretazione che la capitale ha dato ad essa a fine ‘800 e durante il ‘900”. Insomma, ciò di cui ha bisogno la città è un approccio propositivo, perchè il passato non si tutela ponendolo in una teca, ma mettendolo in gioco come un’energia creativa capace di rivoluzionare la città contemporanea. Bisogna riorganizzare quindi il senso della capitale, che attraverso il reincanto potrà avere un nuovo impulso su più aspetti. Cavour disse infatti che “la scelta della capitale è determinata da grandi ragioni morali. È il sentimento dei popoli che decide le questioni ad essa relative”. Quello di Tocci non è solo un sentimento, ma un grido di protesta alla stagnazione della città degli ultimi tempi; c’è bisogno di una riscossa civile, l’area va riscoperta come centro della vita pubblica.
Un piano strategico stabilirà come agire nei prossimi 10/20 anni. Si tratta di uno strumento urbanistico da porre all’esame dell’Assemblea Capitolina e a tal fine è stata stipulata una convenzione con le università di Roma 3 e Sapienza: alcuni ricercatori di queste università nei mesi a venire forniranno le prime bozze del piano. Un insieme di opere di restauro e riqualificazione verranno realizzate nel triennio 2025-2027 e, a tal fine, sono stati messi a disposizione 282 milioni di euro tra fondi Pnrr, Giubileo, statali e comunali. Il 5% di essi sarà utilizzato per finanziare “La nuova passeggiata archeologica”, un progetto che prevede la creazione di un grande anello pedonale che abbraccia tutta l’area archeologica, sull’esempio del piano ottocentesco del ministro Baccelli, che ad avviso di Tocci fu la migliore opera della “giovane capitale”.
L’opera in questione si prospetta strutturalmente semplice, e cioè composta da allestimenti leggeri, ma intellettualmente spinosa. Sono infatti 4 le modalità elencate dal relatore attraverso le quali si ambisce a rendere cognitiva l’opera:
- cognitiva come percezione: non bisogna visitare l’area per singoli monumenti. Lo scopo è quello di poterla esplorarare come un sistema archeologico e paesaggistico che possa realizzare una completa sintonia tra i monumenti sparsi per la città;
- cognitiva come narrazione: coloro che passeggeranno per Roma si sentiranno raccontare la storia di una città plurimillenaria dai loro occhi, narratori silenziosi;
- cognitiva come sperimentazione: sono diversi i modi con i quali potrà essere utilizzato il grande anello pedonale e si aspetta dunque di capire come le persone potranno sfruttare il nuovo spazio;
- cognitiva come anticipazione: l’opera anticipa i principi del cambiamento di visione che mobiliterà i progetti futuri, ancora più ambiziosi.
Ma quali sono questi principi?
- Il primo è forse il più astratto: si tratta del principio di “prossimità dell’antico”, espressione di una salda confidenza tra uomo e antico e dell’avvicinarsi più intimo del visitatore con la città. Un esempio concreto a opera del progetto CarMe è la “Forma Urbis”, una lastra trasparente su cui si può passeggiare avendo ai propri piedi le tracce della città antica. I cittadini e i turisti non possono godere di quell’intimità che dovrebbero avere con la città a causa di un investimento culturale che non ha restituito nulla, se non un luogo in gran parte incomprensibile. Ad allontanarli fisicamente e spiritualmente è stato sicuramente il tessuto urbano respingente che invade lo spazio monumentale della città. Insomma, a detta di Tocci il principio di prossimità dell’antico propriamente detto sarebbe quello che riuscirebbe a superare il grande paradosso di Via dei Fori: accanto ai Fori Imperiali giganteggia una sorta di autostrada larga quanto il Grande Raccordo Anulare, ma pressoché priva di auto. Si tratta perciò di uno spazio immenso sprecato per qualcosa di sostanzialmente inutile, e che costringe i pedoni a camminare su piccoli marciapiedi, limitandone la libertà di movimento. Un altro grosso problema sta nel fatto che, nella città, la parte urbana e quella archeologica non sono collegate tra di loro. Insomma, è chiaro che un punto cardine del principio di prossimità dell’antico sia il raggiungimento di un progresso tramite un’opera regressiva: è attraverso la recessione urbana e una successiva pedonalizzazione delle aree archeologiche della città che si potrà raggiungere la sintesi tra antico e contemporaneo, e dunque il pieno sviluppo culturale.
- Il secondo principio è quello della “molteplicità del paesaggio”: la ricchezza e la varietà di monumenti plurimillenari sparsi per Roma sono punti cardine che vanno sfruttati con la realizzazione di un sistema culturale in cui si possano mischiare conoscenza storica e quotidianità contemporanea. La molteplicità si sviluppa su due assi, quello verticale e quello orizzontale. Il primo si compone di 4 livelli, che vanno dal sotterraneo, con le stazioni archeologiche, al sopraelevato, con le magnifiche terrazze della capitale. A livello orizzontale invece, la molteplicità si ritrova nella sopracitata Nuova Passeggiata Archeologica, nella Cisterna delle Sette Sale, nella riqualificazione del Circo Massimo come parco centrale di Roma e della Bocca della Verità come grande piazza, e in molti altri interventi di restauro e manutenzione.
- Il terzo e ultimo principio è quello dell’ ”apertura verso la città”. Lo scopo è quello di realizzare un ventaglio di percorsi pedonali che possa irrorare la città storica attraverso una fiumana di pedoni, proprio come i fiumi arcaici che provenivano dai colli bagnavano la Valle dei Fori. L’apertura deve però spingersi oltre il Centro Storico, rendendo possibile un diffuso investimento pubblico in tutta la città, compresa la periferia. La riscoperta della città antica, infatti, dovrà coinvolgere tutto il territorio: per questo verrà istituito un gemellaggio tra il CArMe e almeno un’area archeologica in ogni Municipio. In tal modo si potrà anche realizzare il grande sogno di Antonio Cederna: la connessione tra Fori Imperiali e Appia Antica, tra Centro storico e Campagna romana.
È poi intervenuto Franco Purini, che ha cercato di spiegare i motivi per cui Roma abbia acquisito una cattiva fama nel corso degli anni, tanto che nel 1974 si tenne il convegno dal titolo “i mali di Roma” e un anno dopo uscì il libro “Contro Roma”: vari intellettuali da anni disprezzano la capitale, ma dovremmo chiederci le motivazioni. Non è cattiveria, ma rimorso. La potenzialità della capitale è immensa, ma nessuna opera pubblica ne ha mai saputo approfittare. Infatti, a detta del professore, Roma è composta da 8 “Rome” che non sono mai riuscite, e non riescono tutt’ora a dialogare tra loro:
-Il Centro Storico
-L’area archeologica
-La Roma postunitaria costruita dai piemontesi
-Il verde architettonico (le grandi ville)
-Le Chiese (nelle periferie se ne contano circa 350)
-L’agro romano
-Le periferie
-La Roma moderna
Tutto ciò si ripercuote nei sentimenti che la gente prova per la città nel suo complesso: le anime che la compongono non si parlano, e il rapporto si proietta nei cittadini, prodotti di una città poco armoniosa, eredi di una conflittualità genetica risalente ai tempi di Romolo e Remo. Purini ha poi aggiunto che c’è un’ulteriore distinzione a frammentare la capitale: essa è divisa in due parti, la Roma latina e la Roma etrusca, che comportano una dualità strutturale nella città. Dunque come poter risolvere questa contorta equazione? In che modo questi aspetti eterogenei possono intrecciarsi tra loro? È possibile realizzare un’armonia in queste condizioni?
Il professore ha poi concluso il suo intervento affermando qualcosa di importantissimo, che ad oggi caratterizza negativamente non solo Roma, ma l’Italia intera: “il mondo scientifico e il mondo universitario sono del tutto estranei al mondo artistico”.
A seguire, Luca Ribichini ha ricordato a tutti che quando si parla di Roma, si parla anche della culla della civiltà occidentale. È nel suo dna che si trova una parte fondamentale della cultura occidentale e delle sue più importanti capitali. Oggi Roma deve riuscire a recuperare le proprie radici e declinare la sua storia nel contemporaneo. Il professore ha preso in prestito una parola di Aulo Gellio, “humanitas”. Il termine esprime un valore etico, un ideale di cura benevola tra gli uomini, ma anche di educazione al possesso di una cultura. Ciò si traduce nella volontà di far progredire l’umanità attraverso una civiltà formata da persone istruite alle buone arti e alla sapienza, capaci di apprezzare i valori fondanti dell’uomo. Prima di lavorare sulla città quindi, dovremmo imparare a reinterpretare e migliorare noi stessi, cercando di soddisfare il piacere del nostro spirito. Recuperare l’antica bellezza di Roma andrebbe a beneficiare soprattutto noi, che al giorno d’oggi non possiamo raggiungere la condizione di Humanitas in altro modo (diversamente da come la pensava Marcello Piacentini, che immaginò l’EUR come centro nazionale della cultura e del sapere). Il relatore ha poi chiuso il discorso ripetendo ciò che nel 1871 Theodor Mommsen disse a Quintino Sella: “Ma che cosa intendete fare a Roma? A Roma non si sta senza avere dei propositi cosmopoliti; è stata la capitale della civiltà antica, poi di quella cristiana: ed ora, che ne sarà?”.
Una domanda del genere echeggia anche nella Roma contemporanea. Cosa fare di questo cimelio?
A cercare di rispondere è stato il quarto e ultimo relatore, Claudio Strinati, dichiarando che il progetto illustrato da Tocci sia un punto fermo in una storia deplorevole per la sua superficialità: in passato nessuno ha agito attraverso progetti per la città di Roma, ma ora il “che ne sarà?” di 153 anni fa ha trovato una risposta, un “pro jectus”, qualcosa che riesce a gettare avanti le basi per l’avvenire. Egli ha poi dato risposta alla domanda posta da un colto Mommsen nel 1871 attraverso le ineleganti parole cantate da Gabriella Ferri nel 1970, quasi un secolo dopo: “Ma che ce frega, ma che ce importa”. Questa frase altro non è che l’emblema della superficialità di tutti coloro che per anni non si sono interessati alle sorti della città, trascurando i suoi intricati problemi. La caduta di attenzione verso la cultura e verso le nostre radici è recuperabile solo mediante questo progetto, una svolta intellettuale di cui, secondo Strinati, abbiamo il dovere di essere concreti sostenitori (anche se non fossimo d’accordo con tutti i suoi aspetti). Il progetto ha lo scopo di creare un’esperienza unica, quella di attraversare lo spazio-tempo. Un caso come quello romano è rarissimo, dato che i panorami culturali sono sempre circoscritti in piccole aree, come quanto accade nella Città Proibita di Pechino o nelle Riserve indiane negli Stati Uniti. Non esiste al mondo un altro posto in cui la città antica sia anche moderna. Questo pregio però, spesso si trasforma in un paradosso concettuale e pratico, dato che al giorno d’oggi turismo e vita quotidiana, i 2 piatti della stessa bilancia, non sono più in equilibrio tra loro. Probabilmente quando il progetto prenderà forma, la situazione si riequilibrerà e si compirà finalmente la creazione della forma moderna del “Civis Romanus sum”. CarMe tenta di garantire pari spazio sia per i visitatori, che per coloro che vivono la città nella sua quotidianità. Quando Attila andò a Roma per distruggerla, i sapienti gli dissero: “ma non vedi quanto è bella? Questa città va conservata”. Il relatore ha ricordato questa vicenda a dimostrazione del fatto che, attraverso la nostra presa di coscienza, siamo in grado di rendere cosciente anche il prossimo, e dunque i turisti. Ciò che il progetto cerca di ottenere è una svolta culturale, intellettuale e morale che potrà poi diventare contagiosa. Bisogna quindi sostenere il progetto in modo convinto, consapevoli del fatto che l’unico ostacolo sia la difficoltà a livello organizzativo, strutturale, burocratico e amministrativo. Strinati ha infatti concluso dicendo che questo nobilissimo progetto potrebbe pestare i piedi a qualcuno, ma per la sua realizzazione servono accordi pacifici, perchè i problemi si devono risolvere con rettitudine morale.
Roma è chiamata anche “la città eterna”. Forse perché si pensa che la sua antichità sia infinita e continui a vivere anche nei tempi moderni. Ma così non è. Il progetto, come affermato più volte durante il convegno, deve sorgere sui pilastri di una svolta culturale. Come detto da Purini, il “mondo cognitivo” è completamente distaccato da quello artistico: nel nostro Paese si è diffuso il generale sentimento del “ma che ce frega” nei confronti dell’arte e dell’antichità. È necessario che a prevalere sia invece quello di Humanitas, di genuina ammirazione per l’istruzione, la cultura e tutti i loro derivati. Siamo noi pronti a questa rivoluzione? Potremo mai acquisire questi valori fondanti a livello nazionale per poi diffonderli in tutto il mondo?