Uscito il 27 settembre 2024, Automatic Popular Music è l’ultimo album di Nicola Ratti, chitarrista, musicista e sound designer milanese che approda al Romaeuropa Festival venerdì 11 ottobre con una live performance narrativa ed immersiva del suo ultimo lavoro in studio.
Come quella volta che siamo entrati insieme in un grande salone
Entrati nella sala del Mattatoio si vede un palchetto rialzato con delle sedie, mentre per terra sono disposti tappeti e cuscini. Chi seduto, chi sdraiato, chi ad occhi aperti e chi chiusi, battiti che risuonano come gocce d’acqua che fanno eco cadendo in una botte, suoni di pianoforte che rispondono all’atmosfera sommersa, e un enorme schermo bianco dietro il setup di Nicola Ratti che pian piano si riempie di caratteri e scritte che raccontano una storia. Una storia scritta che compare sullo schermo bianco come se fosse scritta in tempo reale, con tanto di errori e cancellature, e che sembra sposarsi con quella del pubblico, in una metafora tra attori e spettatori in cui i confini tra i due sembrano sfumare.
Due persone entrano in una stanza. È pieno di posti e ci sono altre persone attorno a loro. le sedie sono disposte in ordine casuale. Due lampadari di cristallo pendono dal soffitto. I due osservano i movimenti delle persone attorno a loro, come se danzassero ad una musica che non possono sentire. È Ottobre, la temperatura è ottima, e il loro interesse fugge tra oggetti, persone e sensazioni che esistono solo in quei 40 minuti e non esisteranno più.
Come gocce d’acqua che rimbombano in una stanza piena di fantasmi, i suoni sono generati da automatismi programmati su sintetizzatori modulari a cui si uniscono tape loops su cui sono incisi frammenti di pianoforti sia acustici che digitali. Con uno stampo minimalista, il soundscape creato è un unione di echi e riverberi di passi invisibili e movimenti segreti. Un set che oscilla tra umano e digitale, in un’atmosfera sospesa e ariosa. Quaranta minuti in cui concentrarsi su piccoli particolari, su ciò che si ha affianco, sul qui e ora. Come quella volta che siamo entrati insieme in un grande salone, e alla fine, una volta spente le luci, ci siamo alzati e siamo usciti.
