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Alice nella Città. Non dirmi che hai paura: la corsa diventa un simbolo di lotta

Non dirmi che hai paura

Non dirmi che hai paura di Yasemin Samdereli e Deka Mahamed Osman è stato presentato alla XXII edizione di Alice nella Città tra le proiezioni in Concorso, già vincitore del Premio Speciale della Giuria nel Concorso al Tribeca Film Festival e del Premio internazionale del pubblico al Munchen Filmfest.

L’opera, ispirata l’omonimo romanzo di Giuseppe Catozzella (Premio Strega Giovani nel 2014), ha visto la luce nelle sale cinematografiche dopo una produzione di circa dieci anni. Come raccontano i produttori durante la prima, “nella carriera di un produttore ci si trova a dover raccontate una storia attraverso un libro o un film, cercando di combattere e di non cadere nella retorica a cui siamo spesso abituati”.

La storia inizia con brevi fotogrammi di archivio del 1960, l’anno in cui la Somalia ottiene l’indipendenza dal colonialismo, e del1969, in cui un colpo di Stato militare porta al governo il dittatore Siad Barre. Dopo circa 20 anni le milizie islamiche si ribellano alla dittatura e prendono il potere, istaurando un regime sanguinario e di terrore.

In questo contesto di guerra civile cresce a Magadiscio Samia, che fin dall’età di 9 anni coltiva l’ambizione di diventare una grande velocista. Così comincia ad allenarsi, spronata dall’intera famiglia, per vincere la gara in città. Durante l’infanzia Samia deve confrontarsi col fatto di essere una ragazza atipica e rivoluzionaria. Il suo spirito di rivalsa e la sua determinazione la portano a disubbidire alle regole e a non rispettare i canoni di decoro e comportamento imposti dal credo dell’Islam. Tuttavia, in un contesto in cui la libertà delle donne viene sempre più compromessa, la protagonista trova un ausilio negli uomini che la circondano come il suo migliore amico Ali e il padre, che la spronano a realizzare il suo sogno.

Durante la guerra civile la città sotto scacco dalle milizie, la popolazione subisce costantemente minacce e soprusi. Il padre di Samia dopo una sparatoria perde una gamba e questo lo porta a cadere in uno stato depressivo che spingerà la figlia a perdere la motivazione e l’entusiasmo nel raggiugere il suo traguardo. “La vita è un intero sogno. E tutto quello che abbiamo sono i sogni”, queste parole ridanno la tenacia a Samia che le farà vincere la gara a Magadiscio.

Il regime diventa sempre più severo nei confronti delle donne: private della loro voce, costrette a portare l’hijad e a rimanere a casa. La radio, la musica e qualsiasi cosa legata all’occidente viene bandita. A questo punto Samia continua ad allenarsi in segreto la notte, dopo il copri fuoco, risciando di essere scoperta.

La corsa diventa un simbolo della sua lotta contro il sistema e di indipendenza. Dopo aver vinto anche la gara internazionale, disputata a Hagerseia, arriva alle Olimpiadi di Pechino nel 2003. Il suo mantra diventa: “devi nascondere la paura. Il nemico non deve sapere che sei spaventata”.

La vita ormai a Magadiscio diventa insostenibile, dopo la morte del padre e la fuga della sorella, decide anche lei di andare in Europa per riconquistare la sua libertà.

La storia di Samia vuole essere un monito per il fenomeno migratorio, che in dieci anni conta più di 30mila vittime.