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Reading Lolita In Teheran e The Seed of The Sacred Fig, due film complementari che raccontano la condizione delle donne in Iran

Reading Lolita in Teheran / The Seed of The Sacred Fig

Reading Lolita in Teheran / The Seed of The Sacred Fig

Reading Lolita in Teheran di Eran Riklis e The Seed of The Sacred Fig di Mohammad Rasoulof sono due film che nelle loro diversità raccontano in modo complementare la condizione delle donne iraniane tra ieri e oggi, partendo dalle discussioni di Azar Nafisi con le sue studentesse per arrivare ad un thriller familiare sull’onda delle proteste per la morte di Mahsa Amini. I film sono stati presentati in sezioni diverse della diciannovesima Festa del Cinema di Roma 2024, di cui Reading Lolita in Tehran ha vinto il premio del pubblico FS nel concorso progressive cinema, mentre The Seed of the Sacred Fig, vincitore del Premio Speciale della Giuria al Festival del Cinema di Cannes, è stato presentato nella sezione Best Of 2024.

 

Reading Lolita in Teheran: Gatsby, Lolita, James, Austen

Esordì dichiarandomi totalmente d’accordo con Nabokov, quando sostiene che ogni grande romanzo è in realtà una fiaba. Le fiabe, spiegai, sono piene di streghe terrificanti che mangiano i bambini, di matrigne cattive che avvelenano le belle figliastre e di padri vigliacchi che abbandonano i figli nella foresta. Ma l’aura magica nasce dalla forza del bene: è questa a ricordarci che non dobbiamo cedere agli obblighi e alle restrizioni imposti da McFatum, come lo chiama Nabokov.

Ogni fiaba offre la possibilità di trascendere i limiti del presente e dunque, in un certo senso, ci permette alcune libertà che la vita ci nega. Tutte le grandi opere di narrativa, per quanto cupa sia la realtà che descrivono, hanno in sé il nocciolo di una rivolta, l’affermazione della vita contro la sua stessa precarietà. Ma è nel modo in cui l’autore riracconta la realtà, e ne acquisisce il controllo dando origine a un mondo nuovo, che questa rivolta prende forza: tutte le grandi opere d’arte, avrei dichiarato con solennità, celebrano l’insubordinazione contro i tradimenti, gli orrori e i tranelli della vita. La perfezione e la bellezza del linguaggio si ribellano alla mediocrità e allo squallore di ciò che descrivono. Ecco perché ci piace Madame Bovary e piangiamo per Emma, perché leggiamo Lolita e il nostro cuore si strugge per la sua piccola, volgare, poetica e sfacciata eroina.

Leggere Lolita a Teheran, Azar Nafisi, 2003

1979, sull’onda di speranza della rivoluzione iraniana Azar Nafisi (Golshifteh Farahani) torna in Iran con il marito Bijan (Arash Marandi) dopo il dottorato in letteratura inglese in America. Presto però quelle speranze si rivelano un’illusione con la presa del potere di Khomeini e dei fondamentalisti islamici che toglieranno via via diritti e status a tutte le donne del paese, obbligandole a coprirsi con il velo e negando loro la possibilità di esprimersi e di essere indipendenti.

Nel 1995, dopo aver continuato ad insegnare all’università (i cui spazi nel film sono quelli della Sapienza Università di Roma) Nafisi sceglie le sue migliori studentesse per organizzare una sorta di club esclusivo in cui discutere di opere proibite dal regime e riflettere di rimando sulla condizione delle donne iraniane. Azar Nafisi, Sanaz (Zahra Amir Ebrahimi), Nassrin (Mina Kavani), Manna (Raha Rahbari), Yassi (Isabella Nefar), Azin (Lara Wolf) e Mahshid (Bahar Beihaghi) si incontrano in segreto nella casa dell’accademica iraniana, dove finalmente possono vestirsi ed esprimersi liberamente. “Lolita siamo noi”, chiede Sanaz, in una delle riunioni. Abusate da un sistema patriarcale che le impedisce di vivere liberamente allo stesso modo in cui H. Humbert possiede la piccola Lolita, gli spazi pubblici diventano via via più pericolosi e asfissianti per le protagoniste e tutte le donne iraniane. Le lezioni universitarie si bloccano in dibattiti sulla fede proposti da studenti uomini che si vogliono imporre sulla professoressa Nafisi, dichiarando ad esempio come impuro l’amore di Gatsby per Daisy, difendendo piuttosto il personaggio di Tom Buchanan, il marito possessivo di Daisy. Dalle discussioni in classe si passa via via anche a quelle nei cortili, dove le proteste vengono represse con la forza dalla polizia che colpisce gli studenti, e soprattutto le studentesse, arrestandole e portandole in prigione, dove molte vengono picchiate e stuprate.

Nel corso del film, che utilizza diversi salti temporali tra i primi anni ’80 al 1995 fino all’inizio del XXI secolo, è visibile l’evoluzione del sistema iraniano e la progressiva erosione dei diritti delle donne che colpisce diverse generazioni. Parlando con un ex professore universitario chiamato semplicemente “mago” (Shahbaz Noshir), Nafisi ricorda le strade di Teheran, i negozi di libri dove trovare romanzi occidentali già all’epoca rari in Iran, la musica, i bambini nelle strade. Oggi sembra invece non esserci più nulla, solo persone spaventate e sole che camminano in mezzo alle macerie di una città violenta e asfissiante. Esposti ad uno sguardo permanente, come in un perenne panopticon cittadino, i personaggi si muovono in quella che Foucault definirebbe una società disciplinare, dove gli individui sono educati ed obbligati a seguire la regola imposta abitudinariamente, senza domandarsi le origini o le motivazioni di questa regola. Ed è questo quello che la protagonista si chiede osservando le grigie vie di Teheran una volta così colorate: cosa ricorderanno i nostri figli? Cosa ricorderanno quelle persone nate e cresciute durante il regime Khomeinista? La sua generazione ricorda cosa era l’Iran prima della rivoluzione, ma come faranno i più giovani a sapere che una alternativa è possibile?

Adattare un libro a metà tra diario e romanzo come quello di Azar Nafisi non è un’opera facile, soprattutto nel riuscire a trasferire sullo schermo i dibattiti, le tematiche, le metafore che Nafisi, nella sua veste di accademica, problematizza attraverso la cultura. Invertendo alcuni capitoli del libro e preferendo un ordine inizialmente cronologico ma che via via salta sempre più da un periodo ad un altro, il film è una testimonianza del potere della letteratura e della cultura come forma di resistenza. Parole che la scrittrice di Leggere Lolita a Teheran esprime durante la conferenza stampa, alla presenza del cast e del regista:

Henry James said to a friend of his during World War One, it was a situation like we’re experiencing today, James told him: “Feel, feel, feel with all your heart” and all the time that I lived in Iran, that was how I kept myself going when they humiliated me by telling me how I should dress, how I should walk, how I should talk. I told myself feel, feel you are not what they say you are, and that is also what literature does to you. You know, at the end of Reading Lolita, I talk about the fact that in the east, at that time Soviet Union, their crimes was obvious. They poured the death into their countries. But in democracies, you don’t put people in jail, or in some places, you don’t censor what they say. You don’t torture them. You don’t put bullets into their bodies. What is important is the fact that there is a danger in democracies right now as we speak, including the country I call home, namely United States. And what I said in Reading Lolita was the danger to East is what Saul Bellow calls the atrophy of feeling and the sleeping consciousness. This is what the West is threatened with, with the fact that we become indifferent, with the fact that we wake up in the morning and don’t think that the fact that we can say everything was something somebody died for it, and somebody is dying for it as we speak. So this is what this film does to us. It makes us feel, it disturbs us. Because, as my favorite James Baldwin says, artists are here to disturb the peace. They’re not here to cuddle you. They’re not here to give you comfort. They’re here to make you question yourself, not just the world, but yourself. And when I was watching this film, there were points about myself that I didn’t know, that maybe I didn’t like as much about myself. And that’s what I wanted to tell you, that is what a good film does to you. It makes you want to change, and it makes you feel feel feel.

 

The Seed of The Sacred Fig: una rivoluzione in casa, una rivoluzione in Iran

Riprendendo le parole già citate di Azar Nafisi, “Tutte le grandi opere di narrativa, per quanto cupa sia la realtà che descrivono, hanno in sé il nocciolo di una rivolta, l’affermazione della vita contro la sua stessa precarietà”. E The Seed of The Sacred Fig è proprio questo, un’opera importante che parte dalla realtà, la realtà cupa e violenta delle proteste in Iran per la morte di Mahsa Amini, per raccontare di una piccola rivoluzione familiare che esplode nel silenzio.

Il film offre uno scorcio nella vita quotidiana di una famiglia iraniana, dove Iman (Missagh Zareh) è stato da poco eletto giudice istruttore del tribunale rivoluzionario. La moglie Najmeh (Soheila Golestani), punto di vista principale del film, lo sostiene emotivamente in questo nuovo importante incarico, scontrandosi a volte con le figlie Rezvan (Mahsa Rostami), giovane studentessa universitaria, e Sana (Setareh Maleki), di qualche anno più piccola. Dopo una prima parte che introduce alle dinamiche familiari fortemente accentrate sulla figura maschile, l’apparente pace viene turbata dalle proteste per la morte di Mahsa Amini, picchiata per via di un hijab messo male. Proteste che vengono mostrate attraverso effettivi found footage delle violenze per le strade, unendo momenti di cinema verità a livello macro alla cornice micro della famiglia protagonista e le loro reazioni allo sconvolgimento dello spazio pubblico.

The Seed of The Sacred Fig è infatti un film che si svolge prevalentemente al chiuso, in casa. Se però in Reading Lolita in Teheran la casa di Azar Nafisi diventava uno spazio di libertà di espressione e di condivisione intellettuale, la casa di The Seed of The Sacred Fig diventa il luogo dell’oppressione patriarcale sulle figure femminili che la abitano, costantemente controllate e sospettate da parte del capofamiglia. Najmeh, succube della figura del marito e fedele rivoluzionaria, supporta le notizie ufficiali per cui Mahsa Amini sia morta per un ictus e che la gente che protesta per strada non siano altro che delinquenti da cui stare lontano, in particolare per difendere la nuova posizione lavorativa del marito. Neo giudice rivoluzionario, ormai le condanne a morte che Iman deve firmare quotidianamente arrivano a centinaia, senza sosta, mentre Najmeh chiede al marito informazioni sulla nuova casa più grande dove dovranno trasferirsi e di acquistare una lavastoviglie nuova.

La posizione di Najmeh inizia a cambiare quando un’amica della figlia Rezvan viene ferita durante una delle proteste mentre era in Università, aiutando a curarla nella propria casa. Il regista Mohammad Rasoulof non ha paura di mostrare i segni di quella violenza, il dolore e il sangue sul volto della giovane studentessa che rischia di perdere un occhio, in un lungo primo piano delle conseguenze della violenza subita. Una volta curata, dopo essere tornata al suo dormitorio, l’amica scompare, e da qui iniziano una serie di scelte che porteranno la famiglia sempre più ai ferri corti, fino a quando la scomparsa della pistola di ordinanza del padre non provocherà una vera e propria indagine interna in cui figlie e moglie vengono ispezionate e interrogate.

Metafora tra micro e macro, tra rivoluzione in una casa e nell’intero Iran, il film prende una direzione sorprendente, passando da quello che sembrava essere un dramma familiare ad un vero e proprio thriller in grado di creare una tensione visiva e narrativa impressionante, in cui le tre donne si ribellano alla figura maschile patriarcale, unendosi e cercando di fuggire da quel regime di violenza e sospetto che aveva instaurato tra le mura domestiche.

“Ma è nel modo in cui l’autore riracconta la realtà, e ne acquisisce il controllo dando origine a un mondo nuovo, che questa rivolta prende forza: tutte le grandi opere d’arte, avrei dichiarato con solennità, celebrano l’insubordinazione contro i tradimenti, gli orrori e i tranelli della vita. La perfezione e la bellezza del linguaggio si ribellano alla mediocrità e allo squallore di ciò che descrivono”, scrive Azar Nafisi. E il linguaggio di Mohammad Rasoulof è di una precisione e poesia assoluta, unendo racconto di finzione a realtà documentaria, riflessione sul presente attraverso gli strumenti del presente come i social e i video testimonianza delle violenze della polizia in Iran, tra interno ed esterno, casa e spazio pubblico, sorellanza e rivoluzione, ma soprattutto speranza ed emancipazione. Un film importante e intrinsecamente politico, in cui la politica non viene mai trattata attraverso slogan o frasi fatte ma attraverso immagini, situazioni, rivoluzioni.