Alla 19a edizione del Festival del Cinema di Roma, Caterina Crescini pone un riflettore sulla professione del magistrato. La sua origine ci giunge lontano, infatti richiama il diritto romano con la figura del “magistratus”. Di essi si ha un’immagine di supervisori autorevoli, perfetti, arditi nel prendere le decisioni difficili e importanti, e per quanto sia vero quanto scritto, dietro la figura del magistrato si cela l’animo umano di chi per anni ha fatto sacrifici, staccandosi per un attimo da amici e famiglia, per poter realizzare un sogno.
La regista di origine veronese porta sullo schermo un documentario sulla vita dei magistrati. Una serie di storie (sei nello specifico) nelle quali si analizzano gli aspetti di chi, ogni giorno, si mette all’opera affinché la macchina della magistratura possa funzionare al meglio.
I protagonisti di queste storie sono magistrati che hanno deciso di mettersi a nudo riguardo la loro professione e la loro vita privata con storie provenienti da tutta Italia, analizzandone i particolari e gli aneddoti più reconditi. Ad aprire le danze è Chiara Cutolo, giudice dell’esecuzione del tribunale di Bari. Segue la storia “senza vocazione” di Daniela Paliaga, presidente della sezione lavoro del tribunale di Torino. Ermindo Mammucci, sostituto procuratore a Rovigo, dall’animo pugliese e con l’ambizione di potersi creare una famiglia. Chiara Esposito, giudice per le indagini preliminari, emozionata nel parlare direttamente dall’aula bunker di Lamezia, costruita per il maxi processo Rinascita pochi anni prima. Vincenzo Capozza, presidente della Corte di assise di appello di Roma, con il suo motto
“Un giudice che conosce solo il diritto non è un buon giudice” e a concludere Marco Puglia, giudice di sorveglianza del tribunale di Napoli, che tocca con la mano la triste realtà delle carceri.
Tutto viene raccontato sotto forma di percorso, ideato dalla regista a quattro mani con lo sceneggiatore, come fosse un viaggio scandito da tappe nelle quali si ispezionano le varie prospettive. Il passaggio tra un magistrato e l’altro è arricchito da considerazioni atte a far comprendere meglio il ruolo della magistratura e della giustizia. A darle voce sono i docenti Giorgio Spangher, professore emerito alla Sapienza di Roma, e Antonio Briguglio, professore di diritto processuale civile all’università di Tor Vergata. Ispezionando l’ordine dei capitoli, “Il concorso” è il primo gradino ove tutto ha inizio, (in Italia per ottenere il titolo di magistrato si è tenuti a superare un concorso diviso tra prova scritta e orale). La narrazione di questa prima parte viene raccontata come un ostacolo arduo e difficile da superare. La preparazione richiede tempo e sacrificio, ma come i magistrati stessi sottolineano, la realizzazione di essere definiti tali giustifica il tanto tempo trascorso sui libri e l’ansia per il risultato finale.
Proseguendo con capitoli successivi (in ordine: Schiena-Un buon lavoro-Orgoglio e sacrificio-Con fine-Giudizio popolare -Pregiudizio e post giudizio) si ha modo di entrare sempre più nell’animo umano di queste persone, percependo il loro entusiasmo e la voglia di adoperarsi al meglio, in un paese nel quale la magistratura è luogo di pregiudizi e costantemente situata nell’occhio del ciclone. Talvolta vi è una cecità riguardo l’argomento, finendo per sminuire questa figura, rendendola banalmente una persona atta a decretare giudizi su argomenti a loro estranei. Escludendo la difficile capacità che spetta loro nel prendere quelle decisioni che potrebbero decretare la vita altrui. Un documentario dal ritmo veloce che non lascia indugi e toglie ogni dubbio sulla figura del magistrato. Con un ruolo posto al centro emergendo come una professione autorevole, con forte propensione al sacrificio e celere a smentire quanto viene estrapolato da un commento all’incipit del documentario: “La magistratura in Italia non funziona molto bene”.
Fortunatamente Caterina Crescini ha saputo rispondere al meglio alla provocazione.