Il dissenso in URSS e il suo strumento, il samizdat, sono i protagonisti della mostra “Dalla censura e dal samizdat alla libertà di stampa. URSS 1917-1990” che fa tappa all’Università La Sapienza di Roma, presso l’edificio di Villa Mirafiori, a partire dal 27 febbraio fino al prossimo 8 marzo. La mostra, inaugurata a Mosca, è stata successivamente esposta alla Bibliothèque de Documentation Internationale Contemporaine di Nanterre, alla Biblioteca della Sorbona di Parigi e, grazie al Memorial Italia, è arrivata all’Università degli Studi di Milano. Protagonisti dell’evento sono le immagini e i documenti affissi su pannelli ideati dal COMIECO (Consorzio Nazionale Recupero e Riciclo degli Imballaggi a base Cellulosica). Ma partiamo dalle basi.
Cos’è il samizdat?
Samizdat è una parola russa che letteralmente sta a significare “edito in proprio“. Rappresenta un fenomeno sociale, culturale e politico che esplose, tra gli anni ’50 e i primi anni ’60 del 900, in Unione Sovietica e nei paesi sotto la sua influenza. Il samizdat rappresentava un canale di distribuzione clandestino e alternativo di scritti illegali, censurati dalle autorità poiché considerati ostili al regime sovietico. Rappresentava in quel periodo l’unica fonte di dissenso per poter comunicare tanto che i poeti e gli scrittori del samizdat furono processati, incarcerati, messi in ospedali psichiatrici o nei lager, fino a farli cacciare o uccidere. Vi erano due correnti del samizdat: una definita “underground” più ristretta e un’altra che invece circolava in fotocopie. Del samizdat non facevano parte solo autori sovietici, ma anche scrittori russi vietati e scrittori migrati. Un ruolo importante era quello degli autori stranieri proibiti.
Come funzionava il samizdat?
Il samizdat sovietico è stato un fenomeno unico nel suo genere. Riprodurre in proprio (a mano o con la macchina per scrivere) dei testi che la censura di stato non avrebbe mai pubblicato non era un’attività che riguardava solo la letteratura, anzi, c’erano all’inizio documenti di vario genere, persino poesie e romanzi. Ad esempio il 20% circa dei testi dell’Arkhiv Samizdata, la più grande raccolta di testi del samizdat, era di argomento religioso. L’autore della propria opera scriveva il testo facendo alcune copie con la carta carbone che poi distribuiva agli amici, che a loro volta la passavano ad altri. I prodotti del samizdat passavano rapidamente di mano in mano e proprio per questo motivo a volte c’era il rischio di “manipolazione” o modifiche dei testi.
L’inaugurazione della mostra “Dalla censura e dal samizdat alla libertà di stampa. URSS 1917-1990” si è svolta in aula V di Villa Mirafiori e si è divisa in due momenti distinti: il primo presieduto da Claudia Scandura del Dipartimento di Studi Europei, Americani e Interculturali la quale ha presentato l’evento e ha dato la parola in prima battuta al presidente della Fondazione Sapienza, il prof. Antonello Folco Biagini, il quale ha introdotto l’argomento della censura, del controllo del regime sovietico e l’importanza della democrazia come forma di libertà di stampa. Successivamente, invece, il dott. Montalbetti, Direttore generale COMIECO, che sponsorizza la mostra, ha posto l’attenzione sul valore della carta, la piattaforma utilizzata nella mostra per riflettere sulle modalità in cui si possono esprimere dei pensieri. Oggi, in un mondo basato su internet, sui messaggi e le email i pannelli hanno lo scopo di ricostruire storicamente e in modo tangibile degli eventi che fanno parte della nostra memoria. Infatti la carta è memoria, è storia, rimane nel tempo, è importante e necessita di una riflessione. Bisogna considerare e ragionare su ciò che si dice e si scrive sulla carta a differenza dei messaggi sul web che, secondo il dott. Montalbetti, sono scritti senza soffermarsi realmente a pensare ciò che si sta inviando.
La seconda parte della presentazione, più culturale, è stata presentata dalla professoressa Ornella Discacciati dell’Università della Tuscia, la quale ha proposto la mostra all’Università La Sapienza e ha presentato “Memorial” un’associazione che si dedica alla salvaguardia della memoria, alla difesa dei diritti umani e allo studio dei totalitarismi, in particolare in Russia e nell’Est europeo. In seconda battuta la professoressa Maurizia Calusio dell’Università Cattolica di Milano ha esposto in modo dettagliato una ricostruzione storica soffermandosi su una personalità che, pur leggendo il samizdat non ha mai inserito le proprie opere nel circuito clandestino: lo scrittore sovietico Vasilij Semënovič Grossman. Quest’ultimo scrisse delle opere che lo pongono come uno dei primi dissidenti. L’ultima parte del dibattito è stata presieduta dalla professoressa Valentina Parisi della Scuola interpreti e traduttori che ha dato una panoramica generale sul prima e dopo il samizdat. L’analisi temporale presa in considerazione, spiega la professoressa Parisi, cronologicamente va dal 1917 (anno in cui la censura ha portato al samizdat) fino al 1990 (anno in cui è stata istituita la legge sulla stampa). Anche se la censura preventiva in Russia è sempre esistita, spiega la professoressa. Già con Caterina II di Russia e col suo editto del 1783 che regolava l’attività delle libere tipografie furono imposti dei limiti alla libertà. Gli scritti del samizdat erano di qualità, avevano autorevolezza pur essendo spesso privi di dati come ad esempio il nome dell’autore omesso per precauzione o sostituito con un pseudonimo. Il samizdat già alla fine degli anni ’80 vedeva il proprio tramonto dato che alcuni scritti clandestini, pur non essendoci ancora la libertà di stampa, venivano recuperati e pubblicati.
La platea ha seguito con interesse l’evento di presentazione della mostra, creando anche interventi di testimonianze pseudo personali dal pubblico che ha condiviso con professori e non le loro storie relative alla memoria di quegli anni.
Doriana Castellitto
Intervista alla dottoressa Claudia Scandura del dipartimento di studi europei, americani e interculturali.