Ritorna l’appuntamento annuale con la Festa del Libro e della Lettura. Anche quest’anno, infatti, l’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone ha ospitato lettori, scrittori e appassionati che, in nome del potere delle parole, hanno partecipato all’evento tenutosi dal 23 al 26 marzo.
Il fil rouge è proprio il “potere” che – come spiega Marino Sinibaldi – è qui inteso nella sua duplice accezione di sostantivo e verbo. L’evento ha da sempre dimostrato, attraverso i suoi numeri, la capacità di essere un potente mezzo per invitare a riflettere, a condividere, a imparare. I libri diventano strumento per sviluppare un potere nuovo e diverso, quello fatto di cultura che diviene stravolgimento – non in contrapposizione, ma come il normale alternarsi di cosmos e caos. Proprio perché la capacità di andare oltre dev’essere spronata, il tema di questa quattordicesima edizione non è fatto per ingabbiare, ma solo per dare luce a un nodo fondamentale nella vita di ogni presente (e non solo).
Un punto di vista fondamentale in un’epoca travagliata da terrore e traumi, un invito a reagire con la stessa forza delle parole che continuano a scorrere nelle pagine dei testi che leggiamo. Non c’è spazio per la rassegnazione nella cultura che unisce e diventa un antidoto a isolamenti e separazioni.
Tanti ospiti, presentazioni, libri nuovi e libri vecchi – che vecchi mai sono. L’informazione è la base che dà vita alle frasi: le parole – come diceva Nanni Moretti – sono importanti.
Così, quelle di Niccolò Ammaniti si riconfermano, nel suo ultimo libro “La vita intima”, in grado di dare voce a un intimo che intimo più non è, perché portato alla luce proprio attraverso le parole. A differenza dei suoi precedenti testi, l’autore si sofferma sui pensieri del singolo – Maria Cristina Palma – di cui ne descrive paura e incertezze tipiche delle donne continuamente esposte. Un romanzo non più corale che si spinge fino alla parte che – come afferma Ammaniti – è presente in ognuno di noi, quella più buia dove la luce non arriva, che è la più intima: diventa così “un addentrarsi in delle pieghe, più che in uno spazio”.
Lo scrittore si sente chiamare dai suoi personaggi e il lettore, di rimando, li sente parlare. Il potere della scrittura è la capacità di farsi filo conduttore tra mondi lontani, diversi, in cui tutto può accadere mentre di qua tutto rimane uguale e fermo. Qualcosa si smuove, anche se non si vede – quella parte intima viene, in qualche modo, scossa.
Per Daniel Pennac il potere è circolare, proprio come il ciclo dei Malaussène, ormai giunto al capolinea, da cui il titolo. “Tra cinque anni, avrò centocinquant’anni: non posso continuare”, la sempre presente sagacia di Pennac non si smentisce nemmeno durante il malinconico addio a Benjamin e al quartiere parigino. Il testo, suddiviso in due parti, continua a evolversi, e le vittime diventano carnefici e viceversa. La circolarità è lo sguardo e l’atto della compassione che, nell’accezione più latina del termine, è la capacità di sapersi mettere nei panni dell’altro. E questo è il potere che Pennac vuole lasciare: non una morale, la sua, ma arguta osservazione da chi, in qualità d’insegnante, ogni anno si trova difronte giovani studenti che crescono, si modificano, diventano altro, pur avendo sempre la stessa età.
Per David Grossman, il potere è in tanti luoghi e tempi. Lo scrittore non porta con sé nuovi libri, ma è presente per raccontare storie. Il potere è nelle storie e nei personaggi dei testi: la letteratura può aiutare a capire il senso delle cose, dona la capacità di andare oltre i pregiudizi che sono solo layer della natura umana. È nell’abilità di creare mondi sconfinati perché, quando si legge un libro, “tu sei vivo in modi che non puoi percepire in nessun altro luogo”, spiega Grossman.
Un libro deve scuotere l’animo, deve risvegliare quanto di sopito c’è. Solo così la letteratura assume le giuste sfumature, quelle nuance di cui è fatto anche il mondo. Tuttavia, la letteratura sa anche creare nuovi spazi di pace che non sempre nella vita ci sono. E allora per Grossman è anche lo strumento per narrare la situazione sociopolitica della sua terra natìa, Israele. Sottolinea la precaria condizione del suo popolo nel mondo perché “nessun posto è mai casa”, ma ne denuncia con fermezza l’operato sostenendo che una democrazia non può nascere dall’occupazione.
“Così tante cose possono fiorire quando creiamo questo tipo di pace, così tante cose possono cominciare ora, non finire”, si congeda così, con applausi scroscianti e con un sorriso timido ma fiero.
Il potere della letteratura è quello di porre germogli anche nei luoghi più remoti e bui, sa far fiorire parole dove c’è aridità. Sa essere caos per consentire di muovere e cambiare, e sa divenire cosmos nei tempi incerti, quando tutto può essere altro ancora e ancora.