Nell’epoca in cui l’informazione si produce sempre più quotidianamente sui social e in rete, rimane fondamentale, tuttavia, concentrare gli studi e le ricerche sull’importanza che riveste, ancora oggi, per molti italiani il mezzo televisivo come uno dei principali mezzi d’informazione.
Questo, e tanto altro, è stato discusso quest’oggi nel Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale della Sapienza di Roma, in occasione del convegno dal nome “Notizie dal Mondo. Quattro mesi di esteri nell’analisi dell’Osservatorio TG”.
Quale spazio dare alle notizie di carattere estero nel newscoverage italiano? Questa la domanda che ha aperto l’incontro; il conflitto russo-ucraino ha riacceso l’attenzione su un tema centrale per il giornalismo televisivo e il suo contributo al dibattito pubblico: quale importanza attribuire alle notizie estere nell’informazione mainstream. La guerra tra Russia e Ucraina riporta ciclicamente al centro del dibattito da un lato la necessità di dover essere sul campo e quindi di dover selezionare e trasmettere le notizie dal fronte secondo standard di qualità giornalistica irraggiungibili col solo lavoro di desk: ma, dall’altro, corre il rischio di “dimenticare” un conflitto con la stessa velocità col quale esso è balzato agli onori delle cronache.
Tutti questi motivi concorrono a determinare l’importanza di un’opera di monitoraggio dell’informazione televisiva, come quella che portano avanti l’Osservatorio TG nato entro Articolo21 e attualmente gestito in triangolazione dal Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale della Sapienza Università di Roma, dall’Istituto di Studi Politici Economici e Sociali EURISPES e dalla Fondazione sul Giornalismo “Paolo Murialdi”.
Giancarlo Tartaglia, Segretario generale della Fondazione sul giornalismo “Paolo Murialdi”, è intervenuto oggi ribadendo il ruolo che riveste la carta stampata nei media nazionali, i giornali dettano l’agenda setting dell’intero panorama italiano, nonostante le evoluzioni tecnologiche che hanno trasformato l’informazione contemporanea: “I giornalisti devono molto stare attenti all’uso dei social. Essi hanno completamente stravolto la professione del giornalista, contribuendo ad interrogarci sulla figura che esso svolge oggi. L’Osservatorio TG ha il compito di monitorare la natura dell’informazione televisiva. Comunque, ancora oggi, la carta stampata detta l’agenda politica italiana. Basti pensare al fatto che i tg radiofonici e italiani mattutini leggono le rassegne stampe dei quotidiani italiani, e da questo, costruiscono i palinsesti e i contenuti dei propri programmi d’informazione”.
Sulla creazione dell’Osservatorio TG ne ha parlato l’attuale presidente Alberto Baldazzi che ha ricostruito il contesto storico all’interno del quale è nato. L’Osservatorio nasce 13 anni, per motivi etici e di supervisione dell’informazione televisiva. Attraverso poi un confronto di dati Baldazzi ha sottolineato l’importanza che diversi anni fa i telegiornali televisivi italiani rivestivano nel paese. Ogni sera i Tg vedevano un audience di circa 22 milioni di telespettatori, da essi si poteva scorgere il gradiente d’umore dei cittadini italiani. La televisione, dunque, era prima la platea degli italiani. Ora, invece i dati dimostrano una situazione diversa, queste le parole di Alberto Baldazzi: “Oggi i tg vengono visti da circa 10 milioni di spettatori, tuttavia, nonostante il numero sia diminuito notevolmente la professione del giornalista ricopre sempre un ruolo importantissimo. Al giornalista, infatti, viene chiesto di partecipare e di saper utilizzare diversi media, cosa che prima non avveniva”.
Nell’incontro è poi intervenuto Vincenzo Vita, Presidente dei Garanti di Articolo21, il giornalista, penna del Manifesto, si è soffermato sul cambiamento di paradigma avvenuto all’interno di alcune trasmissioni televisive, concentrandosi prevalentemente sulle possibili derive che quest’ultime hanno toccato negli ultimi anni: “Vi è un’anomalia sulla gestione dell’informazione riguardo alla guerra e alla politica. Nella fase iniziale di guerra le immagini televisive trasmettevano situazioni drammatica e dolorose, anche rinunciando alla mediazione giornalistica. Questo modello d’informazione, che si ebbe anche col covid, serve a mettere al centro tra il rapporto tra emittente e utente, una sorta di ideologia, di creare un dramma. Così che ogni spettatore, che possiede un bagaglio culturale diverso, crei un meccanismo di accettazione critica passiva del nemico e del buono. Questo modello supporta una sorta di narrazione della guerra inevitabile. Una narrazione fatta di suggestioni, la tv del dolore, la commercializzazione dei sentimenti elementari ha fatto la fortuna di molti talk televisivi”.
- Andy Rocchella, morto il 24 maggio 2014 nel Donbass.
- Ilaria Alpi, nata il 24 maggio 1961 e assassinata a Mogadiscio il 20 marzo 1994.
- Marco Sacchi giornalista e fotoreporter siciliano, primo ad arrivare sul luogo della strage di Capaci, morto il 25 maggio 2016.
- Padre Paolo Dall’Oglio, scomparso in Siria il 29 luglio 2013.
Perché tutte queste date? Con questi esempi di coraggio Vittorio Di Trapani, Presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana ha esordito nel dibattito di oggi ricordando a tutti i presenti le storie di donne e uomini che hanno pagato con la loro vita la ricerca della verità. Il giornalista è un testimone della verità. E l’esempio di queste storie ribadiscono l’importanza della figura del giornalista, al quale Vittorio Di Trapani ha dedicato gran parte del suo intervento: “Loro erano testimoni. Persone che stavano nei luoghi dove accadevano i fatti. Andate,vedete, capite e ascoltate. Date voce a chi voce non ha. Essere testimoni della verità. Oltre a fornire testo, immagini, video il giornalista deve restituire il contesto, ovvero le chiavi d’interpretazione della realtà e stimolare il senso critico dello spettatore. Non solo emozioni, ma fatti. Alcune parti del mondo sono assenti dall’informazione. Io racconto i migranti che sbarcano sulle coste, ma non sto raccontando da dove partono, da quale contesto nascono. Padre Paolo 10 anni fa disse: ‘sentite i rumori dei remi, i rumori delle barche, stanno arrivando e con loro arriverà un vento di xenofobia. Ma noi non sapevamo e non sappiamo da cosa stanno fuggendo’. Il giornalismo cambia ed è giusto che si studi, cambia la modalità ma c’è una cosa che non cambierà mai: il giornalista è un testimone”.
Lucia Goracci, giornalista e inviata di guerra Rai, si è espressa a riguardo con queste parole: “Adesso voi vivete in una tale osmosi con la rete internet. I soldati siriani o iracheni con una mano sparano e con l’altra condividono contenuti in rete. Ma la democrazia ha ancora bisogno del giornalismo. Dimenticatevi la verità quando andate in guerra, nemmeno in prima linea del fronte, con il rischio di essere impallinati si può conoscere la verità quando si è in guerra. La verità è sempre suscettibile a degli aggiustamenti. Come dice padre Dall’Oglio in Siria ‘Noi siamo soli’. È considerato scomodo. Protegge le minoranze cristiane, ma va ugualmente di fronte alle tagliagole a parlare. I giornalisti non possono sposare nessuna causa. Se ci innamoriamo delle cause poi finiamo di vivere dentro stanze dell’eco che ci impediscono di raccontare la verità. Il metodo è andiamo a vedere. Andiamoci a chiedere perché. Perché abbiamo smesso di raccontare la guerra dal lato russo? Perché non stiamo andando più a Mosca a vedere quali libri hanno tolto dalle librerie? Il nemico andiamolo a conoscere. Quanto spazio mediatico hanno le altre guerre? La forza delle immagini è anche frutto dell’evoluzione tecnologica. Ora con gli zainetti andiamo in onda da dentro la guerra. La propaganda è sempre in agguato, e noi dobbiamo evitare che accada”.
Infine, Alessandro Ricci, giornalista freelance, ha portato nel dibattito la sua esperienza di inviato e fotoreporter sottolineando l’importanza del giornalista sul campo, che con la sua professionalità segue e interpreta i fatti in prima persona: “Non basta andare a vedere, ma bisogna capire. E per capire bisogna parlare con la gente, bisogna immergersi nelle loro storie per restituire alle persone un racconto completo, sincero. Domandarsi sempre: che cosa c’è dietro? Raccontare tutto permette al cittadino di farsi un’idea corretta di quel fenomeno, di quel fatto”.