Alessandro Baricco ritorna dopo otto anni a Romaeuropa Festival, nella sua 39esima edizione, con una serata intitolata “Tucidide. Atene contro Melo” presso l’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone.
Baricco, i 100 Cellos in Atene contro Melo
Il racconto inizia con un brano simile a un commo funebre, tipico della tragedia greca, in cui si odono i lamenti delle donne, che hanno perso i mariti e i figli in battaglia, e dei soldati che cadono uno a uno per la loro Patria, come pedine di un domino. Due fazioni che incarnano due mondi totalmente opposti e in constante lotta tra loro: quello degli spartani, popolo di guerrieri e oligarchi, e quello degli ateniesi, padri della democrazia, amanti della parola e dell’oratoria e dominatori dei mari.
La battaglia ci porta al 416 a.C, durante la guerra del Peloponneso, quando Atene decide di sfoggiare la sua potente flotta conquistando la piccola isola di Melo, allora alleata degli spartani. Gli ateniesi, una volta giunti alle porte della città vengono invitati dai meli per raggiungere una trattativa. Tucidide, padre fondatore della Storia, narra il dialogo tra i meli e gli ateniesi come se lo osservasse dall’alto, cogliendo ogni sfumatura e sfaccettatura dei due popoli.
Gli ambasciatori ateniesi, interpretati dall’attrice Valeria Solarino, prima ancora della battaglia, intavolano da vincitori le due possibilità compassionevolmente concesse ai vinti: combattere e morire o arrendersi e allearsi. Una scelta un po’ mendace, giacché entrambe le possibilità segnano la sconfitta di un popolo dichiarato libero. Proprio per questo, gli oligarchi di Melo, impersonati dall’attrice Stefania Rocca, non si lasciano intimidire difronte l’arroganza e la spavalderia dei loro conquistatori e controbattano con estrema maestria e fierezza.
In quegli atti, Baricco come un maestro d’orchestra guida i dialoghi, che si alternano riempiendosi di pathos ad ogni parola pronunciata come sentenze. La tensione cattura il pubblico, impietrito e ansimante, dimenticandosi che il finale della tragedia lo conosce già. Difatti, lo stesso narratore torinese afferma che Tucidide, con gli otto libri della Guerra del Peloponneso, scrisse qualcosa di totemico, coniando due principi fondamentali appresi nel mestiere di storico. Il primo insegna che gli eventi sono il risultato matematico di decisioni prese dagli uomini; mentre il secondo conia la frase historia magistra vitae: se studi il passato capirai il presente. L’importante non è sapere chi ha vinto, ma compenetrare nelle culture dei due popoli e come studiosi osservare e ascoltare le ragioni “dei falchi e delle colombe“.
“I meli erano coloro che volevano scappare alla logica e alla razionalità” ateniese, ma vennero “esasperati dalle nostre legittime richieste”, legge Baricco sottolineando l’ossimoro presente nella frase pronunciata dagli ateniesi. Questa “è la condanna del potente”, il quale sa che “per regolare e correggere il sistema bisogna usare la violenza”.
Durante la serata la voce narrante profonda, arguta e talvolta ironica di Baricco viene scandita dalle arcate dei cento violoncellisti di 100 Cellos, con il primo violoncello Giovanni Sollima e il maestro Enrico Melozzi, che come opliti rievocano attimi di tensione dei dialoghi e della battaglia. Ogni atto viene accompagnato da musiche martellanti, alternando lamenti a urla di gloria.
Nell’ultimo atto Baricco fa immergere lo spettatore nel mare greco dall’orizzonte albeggiante, in cui due navi ateniesi portano verdetti differenti: uno più virulento e sanguinario (preso con ferocia durante la notte) e l’altro più pio e mite (risultato di una notte di riflessione). “Chiudete gli occhi, o almeno chiudete quelli dell’anima, e lasciatevi trasportare“, sentendo il rumore dei rematori e del mare.
Infine, il narratore regala una riflessione poetica e tagliente sulla Giustizia e il Diritto. In battaglia le decisioni si mascherano con valori e ideali di Giustizia, ma “non è una questione di Giustizia, ma di giustezza“. “Abbiate la forza di prendere le decisioni, ma una volta prese abbiate il coraggio di mandare sempre un’altra nave“, con una decisione più ponderata, dettata meno dal sentire e dalla foga e più regolata dalla ratio e dalla logica, dopo una lunga notte di pene umane.