“Il rinascimento sumerico. Nuovi dati dagli scavi italiani a Tell Zurghul/Nigin in Iraq”, questo è il titolo dell’incontro svoltosi lo scorso 21 aprile presso la Facoltà di Lettere della Sapienza. Un incontro affascinante, motivo di orgoglio per La Sapienza e per tutta la tradizione archeologica, nel quale si è mostrato il frutto dei lavori portati avanti dalla stessa Università La Sapienza congiuntamente all’Università degli Studi di Perugia su una civiltà come quella sumerica che ha cambiato la storia dell’Oriente antico. Le due Università operano insieme dal 2014 e sino al 2019 sui siti archeologici di Nigin e Tell Zurghul in Iraq. Lo stesso incontro è stato presentato da due massimi esponenti dei due Atenei, nonché direttori della Missione Archelogica Italiana nei siti già citati, ossia Davide Nadali (ricercatore presso La Sapienza, nel Dipartimento di Scienze dell’Antichità) e Andrea Polcaro (Archeologo e Research Fellow presso il Dipartimento di Lettere dell’Università degli Studi di Perugia).
Una storia affascinante che ha radici antiche (V millennio a.C) quella dei Sumeri, considerati la prima civiltà urbana insieme a quella dell’Antico Egitto. Nel 1870, una missione francese ha lavorato e scoperto l’antico Stato di Lagash, la quale ha fornito la prima massa rilevante di documenti in sumerico. Questa civiltà, come meglio si enuncerà in seguito, dipendeva dalle acque dei fiumi Tigri ed Eufrate, da paludi e acque salmastre, e si è caratterizzata per la costruzione di imponenti città-stato.
Nell’introdurre l’evento, l’archeologo ed ex professore di Archeologia e Storia dell’Arte della Sapienza Paolo Matthiae, ha rimarcato la situazione precaria dei tempi attuali, segnati dalla guerra in Iraq e in Siria. I conflitti, tranne che sulla zona costiera, hanno impedito gli scavi. A Damasco, capitale siriana, la Direzione Generale dei Musei è impegnata nel salvaguardare l’enorme patrimonio della città e nonostante siano stati messi in salvo circa 300.000 oggetti, 14 archeologi hanno perso la vita a causa dell’Isis. Il sedicente stato islamico non ha risparmiato nemmeno la città di Palmira, ormai orfana della nota Ziggurat di Nimrud. Tuttavia egli sostiene che questi nuovi impegni portati avanti dalla Sapienza e dall’Università degli Studi di Perugia possano essere da stimolo per le attività in questi Stati che si sono sempre distinti in campo culturale, essendo sicuro che gli studenti siano consapevoli dell’immensa tradizione archeologica presente in loco, oltre che dell’importanza dell’Università “La Sapienza” in queste discipline.
Successivamente, il Professore Davide Nadali ha delineato i fondamenti della Missione Archeologica Italiana a Nigin (MAIN), finanziata dall’Università La Sapienza e co-finanziata dal Ministero degli Affari Esteri, nonché promossa e incentivata dall’Ambasciata Irachena a Roma. Nel 2014 c’è stata la ricognizione del sito archeologico, mentre nel 2015 e 2016 si sono svolte vere e proprie campagne di scavo (si è iniziato a scavare grazie ai solchi provocati dalle piogge). Il sito analizzato, ossia quello di Nigin, sorge nell’Iraq meridionale, nell’antico stato sumerico di Lagash; la superficie del sito, quasi del tutto pianeggiante, è di 66 ettari ed è caratterizzato dalla presenza di due colline, in parte artificiali, e dalla presenza di sale in superficie, che complica la conservazione dei manufatti. L’anno scorso l’Unesco ha riconosciuto Nigin (una delle 3 città dello Stato di Lagash) come area di interesse. La particolarità di questo territorio stava nel fatto che l’acqua è stato l’elemento cardine: non solo i fiumi Tigri ed Eufrate erano importanti, ma anche acque salmastri, paludi e canali artificiali scavati dai sovrani a partire dal III millennio a.C. Tra questi canali, importante è quello che arriva al porto dello stato di Lagash e che si pensa collegasse le 3 principali città-stato (probabilmente lambiva la città), essendo anche fondamentale per il culto religioso. Proprio per questo motivo si è sviluppato in quest’area il culto di Nanshe, dea delle acque, per la quale era stato eretto un tempio. Lo stesso sito di Zurghull era impossibile da raggiungere, in quanto allagato. Tali siti archeologici, in un ambiente acquatico, emergevano come isolotti. Per quanto riguarda invece il sito di Tell Zurghull, non si conosceva quasi nulla dello stesso se non a causa di un precedente scavo, che ha tracciato un arco nella collina maggiore nella ricerca di un sito funerario che però non è stato trovato. Anche la collina minore era già stata scavata, con esplorazioni a sondaggi in profondità. In situ sono state rinvenute una serie di stratificazioni databili alla fase Ubaid 4.
Ha poi proseguito l’archeologo Andrea Polcaro, che ha presentato i lavori di scavo nell’area A del sito, un settore molto centrale nella parte meridionale della collina principale. In quest’area sono emerse ceramiche e muri in gesso e mattoni crudi, databili in 3 diverse fasi storiche. Della terza fase, la più antica, sono stati rinvenuti muri in mattoni crudi e gesso, oltre che un vano ricolmo di ciotole, nelle quali erano presenti resti di ossa e di cibi. Molti dei mattoni in gesso sono stati ritrovati in crollo, a causa dell’azione erosiva dell’acqua, che non ha risparmiato nemmeno le strutture in crudo. Più a est sono stati invece ritrovati altri due edifici contrapposti e conservati meglio, con una zona di cottura dei cibi e tre focolari molto ravvicinati. Databile alla seconda fase è stato ritrovato un quadrupede in pietra, probabilmente un ariete. Nella prima fase, invece, l’edificio cambia, nonostante sia ancora presente la testimonianza di un vano dedicato alla cottura dei cibi; sono databili a questa fase anche alcune giare dipinte con motivi geometrici. Negli scavi dell’area D, aperta nel 2016, è stato identificato un piano pavimentale bianco circolare (chiamato “piattaforma”) che segue la sommità del Maund; esso è un continuo rifacimento di terrazze l’una sull’altra. Sopra questa struttura è stata trovata una piattaforma di argilla purissima e dura di consistenza, costruita in 3 gettate, all’interno della quale è stato rinvenuto un mattone con iscrizioni cuneiformi di Gudea. Si è inoltre conservato qui un muro in mattoni crudi. L’ultima area indagata, la periferica ma ampia area C, è il luogo con maggior concentrazione di ceramica in superficie. In questo territorio è presente un piccolo Maund con una fornace, che fa presumere che questo era il luogo industriale in cui venivano cotte le ceramiche e forse mattoni.
Il lavoro di scavo portato avanti dalle due Università congiuntamente, secondo il Magnifico Rettore Eugenio Del Gaudio, è un motivo di orgoglio per La Sapienza. La tradizione archeologica della Sapienza è importante e molto valorizzata non solo in Italia ma soprattutto a livello internazionale (La Sapienza occupa il 14° gradino a livello mondiale). I fondi per queste attività sono aumentati, perchè come ha sostenuto il Magnifico Rettore, l’Università prima che informazione deve essere formazione. Ci auguriamo che, nonostante i tempi difficili, si continui ancora a lavorare ancora per molto tempo in queste preziose aree ricche di cultura.
Maria Rita Zedda
Intervista a Davide Nadali