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Alla Società, con tutta la nostra rabbia [Il delitto di Ilaria Sula]

evento memoria Ilaria

Ilaria Sula fa perdere le sue tracce il 25 marzo nei pressi di Furio Camillo a Roma, amici e conoscenti, tramite social, creano una rete di contatti per avvisare quante più persone possibili, ma i giorni passano.

Terni, città di Ilaria, si prodiga in articoli allarmati e denunce di scomparsa, ma i giorni passano.

Iniziano così i primi volantini che tappezzano l’università “La Sapienza”, dalla facoltà di scienze statistiche alla metro, la mensa, le aree comuni, nella speranza di avere questa volta un finale diverso.

Le coinquiline, insieme ai genitori di Ilaria, non si danno tregua ma l’aiuto non giunge, c’è molta indifferenza da parte delle forze dell’ordine, tutto molto superficiale, blando, come se si fosse perso un mazzo di chiavi e non una ragazza con la propria vita, carriera e sogni.

L’ex fidanzato Mark Samson sembra disperato, prende parte alle ricerche anche lui e diviene un punto di riferimento per i congiunti  della giovane.

Ilaria, tuttavia, non torna a casa o per lo meno non con le sue gambe; il 2 aprile viene rinvenuta chiusa in una valigia e buttata in un dirupo sulla strada provinciale tra Capranica e Guadagnolo. L’ennesima tragedia annunciata.

Con sguardo attonito e rassegnato abbiamo appreso la notizia, le coltellate, il “dolore postumo” di Mark che, nonostante l’efferatezza delle sue pugnalate, ha dimostrato un’improvviso cordoglio e senso del dovere tanto da costituirsi alle autorità.

La vicenda di cronaca è ormai nota con i vari spostamenti dei due, l’arma, il possibile coinvolgimento dei genitori di lui, la zona ecc. ma cosa ci resta di ciò? “La normalità”.

Sì perché il contesto è guarda caso sempre “normale”: si parte con una studentessa normale, nel fiore dei suoi anni al termine della sua brillante carriera accademica, poi una normale relazione finita, come avviene tra giovani perché cambiano interessi, legami e un normale studente, un lavoratore, un “bambolotto”- lo definiscono i giornali-, al quale però, come sempre, manca quel non so che di rispetto per la vita stessa, di sicurezza e umanità.

Le autorità hanno di routine sottovalutato la richiesta di aiuto e ora la comunità studentesca si riorganizza per nuovi presidi di protesta.

“Ci vogliamo vive” lo slogan proposto questa volta, in memoria di Ilaria e Sara la nostra collega di Messina che ha subito la stessa sorte, molto più drastico, radicale quasi una supplica per trasmettere il senso di rabbia, di sdegno che ci ha portato, per certi versi, a “supplicare” di risparmiarci.

La Rettrice Antonella Polimeni ha mostrato segno di rispetto, ma anche lei si è trovata a ripetere lo stesso copione per l’ennesima studentessa persa, l’ennesima corona non indossata e l’ennesima vita spezzata.

Ne fiori, ne panchine, per favore, ma educazione al rispetto e alla libertà di vivere come tutti.

Arriverà il giorno in cui saremo marea e prenderemo ciò che è nostro di diritto. 

 

Articolo di Matilde Trippanera

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