Vi siete mai chiesti da dove provengono i nomi dei brand con cui interagiamo tutti i giorni? Dai provider che usiamo, a ciò che indossiamo, giungendo anche a ciò che mangiamo. Insomma, l’incidenza della globalizzazione in qualsiasi tipo di lifestyle è ormai cosa nota, ma non sono pochi i marchi i cui nomi celano interessanti curiosità dietro la loro ideazione, costruzione e sponsorizzazione. Abbiamo raccolto in giro per il web le storie che si celano dietro alla nascita di brand più o meno famosi, documentandoci anche in merito alla semiotica di alcuni loghi.
Si tratta delle immagini che ci entrano in testa. A chi non è capitato di dire, di fronte alla maggior parte delle immagini su Logo Quiz «Questo l’ho già visto»? Quando un team si mette intorno ad un tavolo per costituire immagine e logo, sfrutta logiche e ragionamenti tali per cui voi, fruitori e clienti, vi ricordiate sempre della tale marca. Scopriremo, però, che in alcuni casi è stata la casualità ad avere la meglio.
Per il brand Google, ad esempio, è andata proprio così: il nome del motore di ricerca più famoso al mondo è nato da un misunderstanding. Lawrence Page, cofondatore della società, trascrisse lo spelling sbagliato del termine “Googolplex” (uno dei numeri più grandi a cui sia stato dato un nome), dettato erroneamente da un collega previo suggerimento di un terzo. Di rimando, invece, il logo è ben più studiato: la sua semplicità versa nell’essere composto da lettere riempite di colori base, se non per la “L” verde (derivato), sintomo di rottura dai classici schemi del design volta a rappresentare la creatività che caratterizza l’azienda da miliardi annui.
Nike e Adidas sono due tra le più blasonate marche sportive del mondo, forti entrambe di una brand identity molto presente nell’immaginario collettivo. La prima deve il proprio nome alla dea ellenica alata della vittoria, Nike. Il simbolo, il celeberrimo “baffo”, fu commissionato per soli trentacinque dollari e ha fatto sicuramente la storia: onomatopeicamente chiamato “swoosh”, ricorda un gesto veloce, dinamico, in movimento, disegnato con un gesto rapido della mano volto a trasmettere un senso di libertà difficilmente trascurabile. L’Adidas, d’altro canto, deve il proprio nome al fondatore Adolf “Didi” Dassler, il quale fuse le radici del proprio nomignolo e del cognome per battezzare il proprio brand. Il simbolo, molto più studiato, è composto tra tre linee parallele leggermente inlcinate per dare l’idea di una vetta posta in modo tale da essere scalata: un suggerimento a perseguire l’obiettivo, una sfida fatta logo.
Ancora, la Pepsi è così conosciuta perché l’inventore Caleb Davis era un farmacista convinto che la sua bevanda favorisse la digestione; da lì la distorsione del termine “dispepsia” che significa “facoltà di digestione”. Amazon deve il proprio nome al Rio delle Amazzoni, il fiume più lungo al mondo, Starbucks al primo ufficiale della baleniera protagonista del libro Moby Dick, per non parlare delle innumerevoli elucubrazioni riguardo al celebre logo del brand Mc Donald’s, per il quale sono in molti a collegarvi un freudiano richiamo alle mammelle femminili.
Insomma, nell’ultimo secolo il globo è stato riempito dai brand, sono entrati nelle vite di tutti e qualcuno ha anche deciso di tatuarseli sulla pelle. La comunicazione e il marketing fanno gioco forza su una serie di dinamiche che comprendono psicologia, engagemente e sensazioni umane. La casualità e i grandi numeri in termini quantitativi hanno portato alle più disparate storie. Storie che condizionano, soprattutto indirettamente, parte delle nostre vite.
Andrea Graziano