Si è tenuto nella giornata di martedi 23 maggio, presso il Coris (Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale), il secondo ciclo di incontri dedicato alla psicologia per la pace: “15th Symposium on the Contributions of Psychology to Peace”. Il convegno, organizzato con cadenza biennale e coordinato dal “Committee for the Psychological Study of Peace” (CPSP), fa parte di una serie di incontri che si terranno dal 21 al 27 maggio tra Roma e Firenze ed ha visto nelle prime due giornate l’impegno de La Sapienza attraverso le sue figure di spicco del mondo della psicologia. Infatti, fra i membri del comitato organizzativo scientifico si è assistito agli interventi di Bruno Mazzara (direttore del Coris), Mauro Sarrica, Giovanna Leone, Marco Bruno, Marco Binotto, Paola Perrucchini, Tina Pastorelli e Anna Kosic.
Ma non solo. L’evento si è svolto infatti all’interno di un clima internazionale – condicio sine qua non per via della tematica affrontata – con il contributo dei principali studiosi provenienti da tutto il mondo, ai quali si sono affiancati l’Associazione Italiana di Psicologia e l’Unicef come partner organizzatori del Symposium stesso.
Il tema di quest’anno, dal titolo “Bridging Across Generation“, ha come obiettivo quello di rintracciare le priorità per i professionisti della psicologia della pace e dare spazio a quelle tematiche ed esperienze che normalmente sono escluse dai discorsi ufficiali.
Ed in questa direzione sono andati i panel offerti in questa seconda giornata. In particolare all’interno del primo panel, dal titolo “Intergenerational transitions and memories of war and terrorism“, si è distinto l’intervento di Camillo Regalia e Sara Pelucchi, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano “Looking for reconciliation. “Years of Lead” and victim’s meaning reconstruction processes“. Nel contributo dei docenti dell’università lombarda si è toccata una delicata tematica interna al nostro paese che ha caratterizzato un’epoca buia dell’Italia, al punto da attribuirle l’appellativo “Anni di piombo”. Lo si è fatto però, sempre da un punto di vista psicologico, soffermandosi su un lato della faccenda trascurato negli anni: i parenti delle vittime. Ai partecipanti sono stati presentati i risultati di uno studio che ha rivelato l’importanza della ricostruzione della memoria collettiva in quanto essa rappresenta un obiettivo in grado di permettere l’avviamento dei processi di riconciliazione. Una suggestione dunque in vista di una possibile ricostituzione della pace. “Il nostro studio ha dimostrato come gli anni di piombo siano una parentesi ancora aperta per la cittadinanza, e questo è dovuto alla mancanza di condivisione sociale, di costruzione della memoria” ha affermato a riguardo Sara Pelucchi.
All’interno del Primo Panel si è posto anche il contributo di Giovanna Leone, docente di Psicologia Sociale presso il Coris, con un intervento dal titolo “Breaking the silence: Intergenerational narratives about past violence“. In questo caso si è andati ancor più a ritroso nel tempo con uno studio, condotto su studenti, sull’invasione coloniale dell’Italia in Etiopia, sul quale rimangono ancora oscure le più crude verità. Anche in questo caso i risultati mostrati ai partecipanti erano destinati a sottolineare l’importanza della ricostruzione della memoria collettiva. Giovanna Leone ha affermato a riguardo che “anche quegli episodi che ci provocano emozioni negative non necessariamente devono avere effetti negativi. Bisogna riflettere e capire che anche queste emozioni hanno una loro funzione“.
Ulteriori tematiche affrontate, e che di fatto risultano essere di grande rilievo per una psicologia che si vuole porre al servizio della pace, hanno riguardato il macro-tema dell’importanza della costruzione d’identità in relazione alla diversità. Numerosi i contributi su argomenti quali il terrorismo, la tolleranza, l’inclusione e la diversità, la maggior parte dei quali ha visto i risultati di ricerche che si sono poste l’obiettivo di indagare le variabili intervenienti in tali processi, dalle quali partire per restituire al mondo, se non la pace, quanto meno quel senso di unione.
A testimonianza di ciò, la giornata si è conclusa con un tributo a Morton Deutsch, il più importante psicologo sociale a livello mondiale che è stato pioniere degli studi sulla risoluzione dei conflitti, scomparso nel marzo scorso .
Ed è proprio una frase di Deutsch – forse la più emblematica – a riassumere questa due giorni di incontri: “Non c’è nulla che sia più pratico di una buona teoria“. Con l’augurio che quanto di buono detto possa sfumare quelle linee di confine tra popoli e generazioni che ad oggi sembrano più marcate che mai.
Matteo Carnevale