ROMA – Com’eri vestita? Quando sei stata stuprata cosa indossavi? Ecco la domanda che fin troppo spesso è stata rivolta a vittime di stupro subito dopo la denuncia del crimine subito. In Italia come negli Stati Uniti l’odiosa domanda è diventata un rituale e a rivolgerla sono tanto gli uomini quanto le donne che, spesso dal pulpito del loro profilo social, non risparmiano insinuazioni.
LA VIOLENZA E LA VITTIMA – La violenza si concretizza in diversi modi, da quella verbale agli appostamenti fino a sfociare in quella fisica che troppo spesso include lo stupro. Molte vittime di violenza, che sia il furto di foto hard dal cellulare o lo stupro in discoteca, si sono viste colpevolizzate perché tentatrici del loro stesso carnefice. Passi avanti sono stati fatti dalle campagne di sensibilizzazione promosse da associazioni come Non una di meno o da blogger come Eretica di Abbatto i muri; in questo modo si sta finalmente diffondendo la consapevolezza che la colpa di uno violenza, di qualsiasi gravità sia, non risiede nella vittima quanto in chi l’ha compiuta. Per contribuire a sfatare questa leggenda e a ribadire che la colpa non è della vittima e che “una maglietta non stupra“, Milano, alla Casa dei diritti ospiterà fino al 21 marzo l’esposizione Com’eri vestita?.
L’ESPOSIZIONE – È la poesia “What I was wearing” di Mary Simmerling a dare l’ispirazione a Mary Wyandt-Hiebert, docente alla University of Arkansas, e a Jen Brockman, direttrice del Sexual Assault Prevention Center presso la University of Kansas. Le due donne hanno girato i college americani raccogliendo testimonianze e, quando possibile, gli abiti indossati al momento della violenza allestendo così una mostra itinerante che facesse ricredere chi continua a considerare l’abbigliamento causa di stupro.
A differenziare il caso americano da quello italiano è il fatto che nel nostro Paese la maggior parte delle violenze si consumano tra le mura domestiche. I piagiami, i jeans, gli abiti lunghi, larghi, a collo alto, oversize esposti si spera contribuiranno a far comprendere perché le vittime di violenza sono stanche di sentirsi chiedere: “com’eri vestita?“