Il podcast “A costruire un mondo nuovo. Giovani comunisti verso Livorno (e verso Mosca)” ricostruisce e racconta i percorsi di viaggio verso Livorno, ma anche i percorsi di vita e politici, di alcuni dei giovani protagonisti del momento fondativo del Partito comunista d’Italia avvenuto con il congresso svoltosi al teatro San Marco di Livorno nel 1921.
Questo podcast è stato prodotto nell’ambito di un progetto della Fondazione Enrico Berlinguer in partenariato con la Fondazione Casa Museo Antonio Gramsci di Ghilarza e il Centro Servizi Culturali (CSC) di Carbonia della Società Umanitaria, con il contributo della Presidenza del Consiglio dei ministri, Struttura di missione anniversari nazionali ed eventi sportivi nazionali ed internazionali.
La direzione scientifica dell’intero progetto è di Luciano Marrocu, storico dell’età contemporanea.
I testi sono stati elaborati dagli storici dell’età contemporanea Valeria Deplano, Luciano Marrocu e Alessandro Pes. Serena Schiffini ha curato la regia e il coordinamento della produzione. Le voci sono di Elio Turno Arthemalle, Michela Atzeni e Leonardo Tomasi. La realizzazione è di Quarantacinque Audiolibri & Doppiaggio di Michela Atzeni. La grafica è di Gabriele Calvisi.
Gli italiani si distinguono per la vivacità: negli ambienti del socialismo internazionale hanno fama di rissosi e, soprattutto sulle questioni teoriche, non si fanno certo sfuggire le occasioni di polemica. Alle discussioni ufficiali, ne seguono altre nei corridoi o in incontri face to face. Serrati, una sorta di capo delegazione degli italiani, nei primi giorni dei lavori incontra Lenin, il quale non tarda a porre la questione per lui più importante: “Voi socialisti italiani, vi dovete liberare di Turati.” Serrati non ci sta: considera i riformisti parte integrante della tradizione socialista italiana, e non ci pensa minimamente a liberarsi di loro. Ricevuta la strigliata da Lenin, fa pure l’offeso, rifiutandosi di andare a una riunione del Soviet di Mosca dove dovrebbe parlare. (Ma dalla tribuna congressuale si profonde in dichiarazioni d’umiltà: “Che cosa sono io in confronto al compagno Lenin? Egli è il dirigente della rivoluzione russa.
Io rappresento un piccolissimo partito socialista comunista.”) Un altro dirigente bolscevico, Nicolaj Bucharin, si pronuncia sulla questione: “è colpa delle molte decine di avvocatucci italiani che formano la maggioranza del gruppo parlamentare se il PSI non si è deciso a mettere francamente e lealmente l’insegna comunista sulle porte della sua casa.”
Il giovane e brillante avvocato torinese Umberto Terracini è sul treno che lo porterà a Livorno, dove parteciperà come rappresentate della sinistra estrema al XVII congresso del Partito socialista italiano. Guarda il paesaggio e prepara mentalmente il discorso che farà a Livorno.
È immerso in questi gravosi pensieri, Umberto, quando la donna che nello scompartimento sta proprio di fronte a lui lo chiama alla conversazione: un’eventualità, questa, che non aveva preso in considerazione.
“Cosa legge di bello, avvocato Terracini?”
Ma come si permette questa? gli verrebbe da rispondere, ma traduce il fastidio in una sorta di sorriso, sghembo quanto si vuole ma pur sempre un sorriso.
“Forse si chiede come faccio a conoscerla…”
“In effetti…”
Madama Lisabetta la chiama ora Umberto, che finalmente l’ha ben inquadrata ricordando come sua madre gliene abbia parlato spesso. Una bravissima sarta ma anche una donna coraggiosa, che è riuscita a sopravvivere, liberandosene, a un marito ubriacone e manesco. Dopo brevi convenevoli, la conversazione si è accesa. Per Umberto si tratta – usiamo le sue parole- di “tastare il polso alle masse”: ciò che non sempre gli è possibile dal chiuso della redazione dell’Ordine Nuovo. Capita però che i discorsi di Madama Lisabetta non siano esattamente quelli che il compagno Terracini vorrebbe sentire. Si tratta di generiche accuse ai politici -socialisti compresi- “che pensano solo a sé e ingrassano sulle spalle della povera gente”. Ce l’ha, Madama Lisabetta, contro gli scioperi che colpiscono prima di tutto la gente comune : quanto agli scioperanti … “voglia di lavorare saltami addosso”.
Teresa Noce è una delle donne che fondarono il partito comunista d’Italia, e continuerà ad essere una figura centrale di quel partito sino al secondo dopoguerra. La puntata si apre con un flashforward rispetto alle vicende del 1921, che ne racconta l’attività antifascista durante il Ventennio mussoliniano, il ruolo nella Costituente, e l’attività parlamentare nella prima legislatura repubblicana a sostegno dei diritti delle donne, sino al ritiro dalla vita politica a seguito della presa di posizione pubblica a proposito del proprio divorzio con Luigi Longo. La puntata torna poi indietro nel tempo, per delineare il profilo umano e politico che porta quella giovane donna, classe 1900, a sostenere la fondazione del partito comunista. Si racconta quindi delle origini umili di Noce, che entra giovanissima nel mondo del lavoro, e altrettanto giovane scopre il socialismo, grazie al fratello maggiore. Proprio la morte del fratello, nel 1918, la convince ad avere un ruolo più attivo nel partito. Attraverso Noce la puntata si addentra nella Torino in cui nasce l’Ordine nuovo di Antonio Gramsci, la Torino delle occupazioni delle fabbriche, e dell’evidente divergenza tra i metodi e gli obiettivi dei riformisti rispetto a quelli dei comunisti. In chiusura vediamo Noce che si iscrive – a 21 anni non ancora compiuti – in quel partito che crede servirà ad affermare i suoi diritti come lavoratrice.
Ultimo di otto figli Luigi Polano nasce a Sassari il 3 aprile 1897 in una famiglia di commercianti con orientamento repubblicano-radicale. La sua militanza socialista sarà nei primi anni incentrata sulla promozione del pacifismo e l’opposizione alla guerra, ideali per i quali verrà arrestato nel 1918. Segretario della Federazione giovanile dei socialisti italiani di Sassari, entrerà poi a far parte del Comitato esecutivo nazionale. Nel 1921, al congresso di Livorno, aderirà alla frazione scissionista e porterà nel Partito comunista d’Italia molti dei giovani della Federazione giovanile socialista. Con l’instaurazione del governo fascista verrà arrestato e sottoposto a domicilio coatto nella sua regione di nascita. Vive gli anni del regime attivandosi all’estero per contrastare la dittatura; negli anni della guerra civile sarà in Spagna e in quelli della Seconda guerra mondiale in Unione sovietica da dove condurrà trasmissioni radiofoniche per contrastare la propaganda fascista. Alla fine della Seconda guerra mondiale, nel 1945, tornato in Sardegna, ricoprirà il ruolo di segretario della Federazione sassarese del Partito comunista italiano e tra il 1948 e il 1968 verrà eletto deputato e senatore nelle fila del PCI.
Non ha ancora trent’anni Humbert-Droz, incaricato dall’Internazionale comunista di presenziare a Livorno al XVII congresso del Partito socialista italiano, ma ha alle spalle un curriculum tanto ricco quanto variegato. Ha studiato Teololgia ed è stato per un breve periodo il pastore di una comunità del Giura. Ora è però un rivoluzionario di professione e farà di tutto per meritarsi, anche a Livorno, i’appellativo di “Occhio di Mosca”. Nel gennaio 1921 il tempo dell’incertezza e della delusione è ancora lontano. Jules è sul treno che lo porterà a Livorno dove parteciperà al XVII congresso del PSI. Riflette sull’importanza che avrebbe l’allinearsi a Mosca di un grande partito socialista come quello italiano. Conosce bene Giacinto Menotti Serrati, il leader della frazione massimalista, che non ha problemi ad accettare i 21 punti, ma non vuole dividersi dai riformisti di Turati. Il più autorevole esponente dei cosiddetti comunisti puri, Amadeo Bordiga -sostenuto dal gruppo dei torinesi, Gramsci, Togliatti, Terracini- respinge come un’eresia l’idea di accompagnarsi a Turati.
Al teatro Goldoni, dove si svolge il congresso, Humbert-Droz siede nello spazio riservato agli invitati stranieri. Fa un breve intervento di saluto ma soprattutto segue con grande attenzione i lavori. Dopo che il delegato dell’Internazionale Comunista, l’ungherese Matyas Rakosi, ha ribadito la linea di Mosca, e cioè l’espulsione dall’Internazionale Comunista per coloro che voteranno la mozione di Serrati, le posizioni si sono ulteriormente radicalizzate. A un estremo Turati, che ha pronunciato un accorato discorso in difesa della tradizione riformista del socialismo italiano, all’altro i comunisti duri e puri di Bordiga. In mezzo Serrati, che vorrebbe conciliare ciò che al momento pare inconciliabile.
Protagonista della puntata è Giuseppe Berti. La sua figura sarà centrale per il partito comunista negli anni della dittatura fascista – quando sarà un uomo di fiducia di Mosca- sino al secondo dopoguerra, quando perderà terreno all’interno del partito, mantenendo però un posto in Parlamento e affermandosi come studioso. La puntata si sofferma però, principalmente, sul suo percorso tra il 1918, quando si iscrive alla federazione giovanile socialista, e il congresso di Livorno del 1921. L’ascesa di Berti, nato nel 1901, è rapidissima: giovane borghese di buona famiglia napoletana, iscritto a Giurisprudenza, nel dopoguerra è in Sicilia dove assiste ai movimenti per la terra e all’occupazione dei latifondi. La sua adesione alla causa comunista matura in questo contesto: attraverso alcuni suoi scritti giornalistici di quegli anni, la puntata ricostruisce il pensiero di un militante che crede che la causa rivoluzionaria possa trovare terreno anche tra i giovani borghesi come lui, e non solo tra i proletari. Berti, allora seguace di Amadeo Bordiga, nei mesi che precedono il congresso di Livorno lavora alacremente perché la Federazione giovanile del partito aderisca alla mozione comunista. Obiettivo, questo, che sarà raggiunto in pieno. Anche a coronamento di questi sforzi, il 29 gennaio 1921 un Berti neanche ventenne sarebbe stato eletto segretario della Federazione giovanile del Partito comunista d’Italia.
Rita Montagnana nasce a Torino il 6 gennaio 1895 in una famiglia ebrea di tradizione socialista. Già dall’adolescenza partecipa alle lotte operaie e inizia a interessarsi alla questione della condizione delle donne nei luoghi di lavoro. Nel giugno 1921, poco dopo la fondazione del Partito comunista d’Italia, venne inviata a Mosca alla II Conferenza internazionale femminile, come rappresentante delle comuniste italiane. Nel 1924 sposa Palmiro Togliatti e due anni più tardi segue il marito a Mosca; dopo un periodo passato a Parigi, nel 1934 torna a Mosca dove sarà una delle poche comuniste italiane a frequentare la scuola leninista. Partecipa alla guerra di Spagna e successivamente, rientrata in Unione Sovietica, conduce programmi radiofonici per Radio Mosca e Radio Milano Libertà. Nel 1944 torna in Italia e diventa una delle fondatrici dell’Unione Donne Italiane. Eletta all’Assemblea costituente e successivamente senatrice dal 1948 al 1953, il suo ultimo incarico ufficiale fu quello di delegata al XX congresso del PCUS. Dopo la separazione con Togliatti deciderà di ritirarsi a vita privata e di prendersi cura del figlio malato. Il suo viaggio verso Livorno è un viaggio per costruire un mondo nuovo, di eguali.
Luigi Longo nasce a Fubine, un piccolo centro dell’alessandrino, il 15 marzo 1900, in una famiglia contadina di produttori vinicoli. Per sfuggire alla miseria della vita contadina di inizio Novecento, la famiglia Longo si trasferisce a Torino. Il nuovo mondo in cui Luigi impara a crescere è molto diverso dalla piccola Fubine; si chiama Barriera di Milano, è la periferia nord di una grande città, ed è un borgo operaio.
Da giovane, dopo la Prima guerra mondiale, si avvicina al Partito socialista; i suoi primi anni di militanza si svolgeranno nella federazione giovanile del partito. Per molti anni dopo il Congresso di Livorno sarà uno dei massimi dirigenti della federazione giovanile comunista. Lasciata l’Italia, durante il periodo del regime fascista condurrà l’attività politica clandestina prima dalla Francia e poi dalla Svizzera. Nel 1936, durante la guerra di Spagna, assume l’incarico di Commissario politico della seconda Brigata Internazionale. Nel 1939, tornato in Francia, viene arrestato e estradato in Italia dove viene messo al confino a Ventotene. Dopo l’armistizio è membro del Comitato di Liberazione Nazionale-Alta Italia e comandante delle formazioni garibaldine. Dal 1948 al 1980, anno della sua scomparsa, sarà deputato in Parlamento per il Partito comunista del quale ricoprirà le cariche di vicepresidente, segretario generale e infine presidente.
Siamo finalmente al gennaio del 1921. A Livorno tutto è pronto per il XVII congresso del Partito socialista in cui si confronteranno le tre mozioni socialiste: unitaria, riformista, comunista pura. La puntata si apre sul Teatro Goldoni, dove i delegati delle mozioni si confrontano in maniera accesa per alcuni giorni. È l’ultima volta che accade, poi si va al voto. Quest’ultimo non riserva sorprese rispetto a quanto emerso dai congressi provinciali che hanno preceduto quello nazionale: pur essendo un numero consistente, i comunisti non vedono prevalere la propria linea. La maggioranza dei delegati del partito socialista non vuole l’abbandono immediato del riformismo. Come già deciso, i delegati della mozione comunista decidono dunque di lasciare il Goldoni, e con lui il partito: si dirigeranno invece verso un altro teatro cittadino, il San Marco. La puntata segue il corteo che la mattina del 21 gennaio attraversa, cantando, il capoluogo toscano. I delegati si affollano all’interno del San Marco, teatro prestigioso ma allora un po’ in decadenza, pronti per votare all’unanimità la costituzione del Partito comunista d’Italia, Sezione dell’Internazionale comunista. La puntata si chiude sulle speranze che la nascita di quel nuovo partito alimenta nei giovani e nelle giovani che speravano, in quel dopoguerra, in un mondo migliore perché più giusto.