Sono giunte al termine le due giornate seminariali organizzate dai dottorandi del XXX ciclo del dottorato in “Italianistica” presso la Facoltà di Lettere dell’Università La Sapienza, che hanno affrontato le problematiche inerenti alla diffusione di un testo e al suo ingresso nella comunità letteraria e nel relativo ambiente sociale e culturale.
Sarebbe semplicistico, infatti, pensare ad un testo unicamente nella sua versione ultima, senza tenere conto del processo di sviluppo e di legittimazione, derivante da una discussione critica e dalla stessa sua diffusione, al quale è inevitabilmente sottoposto.
Obiettivo ultimo del seminario è stato quello di riflettere su questa tematica generale, declinando la discussione in tre momenti specifici: il primo, riguardante la formazione della rete di contatti, promossa dall’autore o generatasi intorno a lui, che permette al testo ancora in fase di pura elaborazione di essere condizionato e contaminato dall’esterno; il secondo, sulla riflessione effettuata dall’autore sull’ opera proprio in seguito alle prime sollecitazioni esterne; l’ultimo, infine, sull’eventuale costituzione di un gruppo di letterati che, posti dinnanzi ad un testo ormai concluso e pronto per la fruizione pubblica, si pongano nella posizione di valutarlo positivamente o negativamente, e dunque di riconoscere o negare il suo valore artistico.
Gli incontri hanno visto la partecipazione di dottorandi e dottorande provenienti dalle Università di tutto il paese, che grazie ai loro originali ed eterogenei interventi hanno favorito un dibattito vivace e partecipato, che in più momenti ha scardinato la classica impostazione verticale ed è diventato momento di vero e proprio confronto orizzontale tra relatori e pubblico.
Questo il caso della mattinata del 23 febbraio, durante la quale i due giovani relatori e la giovane relatrice sono stati in grado di stimolare un dibattito appassionato sulla costruzione dell’opera teatrale, e sul processo di trasformazione del testo alla luce della vera e propria “messa in scena“. Focalizzandosi su tre periodi temporali differenti, ‘400, ‘500, e ‘600, Matteo Bosisio, Arianna Capirossi e Marco Capriotti sono stati abili nel costruire i loro interventi su un intreccio mai banale tra contestualizzazione storico-culturale e analisi specifica di autori ed opere.
Ampia la portata del dibattito, che ha spaziato dalla drammaturgia quattrocentesca, riscoperta nelle corti dagli esponenti della signoria, che non mancano di chiedere agli autori modifiche ai testi per esaltare questa o quella città, o questo o quel personaggio, alla tragedia cinquecentesca intrinseca di rapporti con il papato e con la capacità di farsi portatrice sia di innovazioni linguistiche come l’uso della lingua volgare, sia di una volontà di ritornare al passato e di legarsi alla tradizione dei grandi maestri, come Aristotele, all’improvvisazione settecentesca, “un caso a parte”, perchè molto spesso ignorata o sottovalutata dalla critica letteraria, anche a causa della mancanza di fonti scritte, data la preesistenza dell’opera a queste.
Dulcis in fundo delle due giornate seminariali, la tavola rotonda, momento di dibattito e di confronto che ha costituito la grande conclusione dell’iniziativa, che ha sottolineato come, nonostante i sempre più intensi fenomeni di globalizzazione, nonostante la tendenza sempre più comune propria dei cittadini italiani a considerare “più verde l’erba del vicino” ed ad apprezzare troppo poco spesso e troppo poco la cultura e la tradizione letteraria del nostro paese, sia ancora importante, se non fondamentale, conoscere, studiare ed apprezzare le nostre radici: “E’ stato il classicismo”, sottolinea Matteo Bosisio, “il modello che ha dato forma all’Europa, e conoscerlo ci permette di capire gli sviluppi della globalizzazione”.
Intervista a Matteo Bosisio e Arianna Capirossi