I Millennials sono per eccellenza la generazione green.
Non amano essere etichettati come ambientalisti, aggettivo che invece veniva sfoggiato dai Baby-boomers (i loro genitori) come simbolo di sofisticatezza.
Oggi, per i nati tra i primi anni ‘ 80 e 2000, la sostenibilità non è un valore aggiunto, ma un vero e proprio status symbol che fa parte della quotidianità e orienta persino i loro acquisti.
A dimostrarlo è una un’indagine realizzata dalla Fondazione Barilla center for food and nutrition, condotta su 800 ragazzi tra i 18 e i 30 anni in tutta Italia.
Il primo settore in cui i giovani dimostrano la loro fedeltà all’ambiente è l’alimentazione:
mangiare in modo consapevole è un’ottimo inizio e proprio per questo il 73% ritiene le diete sostenibili (quelle che cioè si basano sui cibi della dieta mediterranea) come “sicure dal punto di vista tradizionale”, mentre per il 61% degli intervistati le stesse diete si rivelano molto care. Una presa di coscienza, la loro, che non è di certo passata inosservata: il New York Times li ha battezzati come i Climatariani, che prediligono cereali, olio di oliva, frutta e verdura. La corazzata di difesa per l’ambiente, prosegue anche nella lotta agli sprechi; il 59% dei millennials dichiara di comprare solo “quello che prevede di consumare”, mentre il 70% controlla attentamente le date di scadenza e quasi la totalità pratica la raccolta differenziata
Anche in materia di investimenti, i Millennials non tralasciano l’obiettivo di salvaguardare il Pianeta. Così quando valutano un’opportunità finanziaria prendono in considerazione le tematiche ESG (ambiente, società e governance). Ma la sostenibilità ha al suo interno un vastissimo mondo, che seppur dello stesso colore verde, ha molteplici strade che prendono altrettante direzioni. I giovani sono molto sensibili alla corruzione e trasparenza, oltre che alla diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza. Secondo una ricerca dell’American Century Investments, il 29 % dei millennials dichiara di conoscere gli Impact investing, che consentono agli investitori di ottenere ritorni finanziari sostenendo ambiente, società, innovazione ed energie rinnovabili.
Ma cosa succede quando la sostenibilità si affianca al nostro carattere distintivo per eccellenza, l’abbigliamento?
Secondo il rapporto Think Sustainability The millennials view, che ha intervistato 3160 millennials, la quasi totalità di questi ritiene che le imprese fashion dovrebbero comunicare in maniera più chiara la sostenibilità dei propri prodotti. Per 2177 intervistati, lo strumento più efficace in questo è rappresentato dalle etichette, mentre per 1867 è la comunicazione aziendale. Per il 58 % del campione le aziende della moda non prestano nessuna attenzione alla sostenibilità, di fronte a un’81 % che sarebbe disposto a pagare un prezzo più alto del
20 % per prodotti green.
Ma è veramente questa la realtà?
A dire il vero no: nel 2009 ha infatti debuttato l’Eco Fashion Week, a Vancouver, con lo scopo di educare il settore tessile a una sempre più intensa responsabilità sociale.
La pioniera in questo campo è stata la stilista Stella McCartney, che ha da sempre imposto indicazioni precise ai suoi designers. Cuoio, pellame e i loro derivati sono tassativamente proibiti nella sua atelier, per lasciare spazio esclusivamente a fibre alternative.
È nata invece in Europa la Green Fashion Week, che ha sempre lo scopo di promuovere eventi eco-sostenibili.
Nel 2016 la paladina green per antonomasia è stata Emma Watson, che sul red carpet del Met Gala ha sfoggiato un abito Clavin Klein, creato dai derivati di bottiglie di plastica riciclate. Il 2016 è stato anche l’anno in cui Giorgio Armani ha detto addio alle pellicce di origine animale.
Questa scelta comportamentale non è tipica solo delle griffe di lusso; Greenpeace ha premiato nel 2016 Zara, H&M e Benetton come marchi all’avanguardia, per aver completamente eliminato le sostanze tossiche nei loro processi produttivi.
Levi’s è da tempo impegnata nel contenimento dell’impiego di acqua nei finissaggi del denim. Quest’attività impiega normalmente enormi quantità d’acqua che oggi possono essere sensibilmente ridotte ed in parte riutilizzate.
Si è svolto invece quest’anno, a Berlino, l’Ethical Fashion Show, dedicato all’abbigliamento informale e sportivo. Il requisito per poter esporre è stato solo uno: le aziende dovevano essere attivamente impegnate in campo ecologico e sociale, operando con trasparenza e sostenibilità.
La scelta eco-sostenibile ha iniziato il suo percorso e, metaforicamente parlando, le aziende hanno piantato il seme, sarà compito di ciascun consumatore curarne i frutti.
Alessandro Ledda