L’eutanasia, la dolce morte, il diritto alla vita, il diritto alla morte, sono le istanze sulle quali i cittadini italiani chiedono di avere una legislazione più specifica già da due decadi; tuttavia ad oggi le discussioni tra le istituzioni preposte incappano in CONTINUE incongruenze legislative. Per questo motivo è essenziale sensibilizzare l’opinione pubblica a tutti i livelli. Il dibattito in merito a tali questioni è stato portato in ambito universitario, tra i banchi della “Sapienza,” nella tavola rotonda ” Il percorso di fine vita”, organizzato da Enrica Cavarretta e Chiara Ribaldone, studentesse di medicina presso il nostro ateneo, con il sostegno dell’associazione Fenix.
In questa occasione gli studenti, operatori della salute o semplicemente persone che si sono trovate a dover “decidere” sulla vita di un loro familiare, hanno avuto modo di confrontarsi con esperti in ambito legale, medico e bioetico.
Si può decidere quando, come, in che circostanze e per mano di chi, si possa porre fine alla propria vita? Cosa si definisce per “vita” ? La morte è parte di essa o sono due fasi distinte? Volendo porre fine alla propria vita, ma non potendo portare a termine tale proposito autonomamente, chi fornisce aiuto, commette reato? Come legiferare per tutelare tutti e allo stesso tempo tener conto di ognuno?
La Costituzione Italiana, negli articoli N. 2-3-13, risponde, solo in parte, a tali domande preservando le libertà di ogni cittadino e considerando la solidarietà tra essi un dovere. Il C.E.D.U. nell’articolo 8 /c. 2 “Diritto al rispetto della vita privata e familiare”, protegge dall’ingerenza di un autorità pubblica, se non regolamentata e la legge su “Consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento”, aprono una breccia importante breccia sul trattamento di fine vita.
Sono basi forti e sicure, tuttavia non esaustive ai giorni nostri come si può riscontrare ricordando i casi: Welby, Englaro e il più recente Fabiano Antoniani ( in arte Dj Fabo) accompagnato in Svizzera dall’esponente dei Radicali Marco Cappato affinchè potesse porre dignitosamente fine alla sua vita tramite “eutanasia “.Quest’ultimo, poi, autodenunciandosi, ha permesso di continuare a portare avanti la battaglia per la libertà di scelta che aveva ingaggiato lo stesso Dj Fabo. Infatti, attraverso il suo processo, conclusosi lo scorso dicembre con l’assoluzione in quanto il fatto non sussiste, ha fatto sì, che la Corte d’Assise presentasse istanza di illeggittimità costituzionale dell’articolo N.580 del codice penale ” Istigazione o aiuto al suicidio”, convalidata dalla Corte Costituzione con sentenza n. 242 del 22 novembre 2019.
In sintesi, oggi in Italia si possono lasciare disposizione sul “trattamento di fine vita”; aiutare, fuori dal nostro paese, a porre fine alla vita di una persona in stato di irreversibile e ingravescente malattia, che abbia maturato autonomamente e nel pieno possesso delle sue capacità, tale decisione. Esistono da poco in Italia gli “Hospice” strutture pubbliche, dove si può essere accuditi fino al al termine naturale della propria vita, ma non si può chiedere la sedazione profonda o l’eutanasia.
Ben lontani dall’organizzazione olandese o svizzera, c’è da considerare il nostro retaggio culturale cattolico. Non mi riferisco al credo religioso, ma a quel meraviglioso intrico di speranza e fiducia, tutto italiano, che permea anche i più accaniti atei di fronte alle proprie sofferenze o a quelle di un proprio caro , spingendoci a chiederci il significato della parola “vita”; se sia più grande il dolore della dipartita o dell’agonia causata della malattia. La morte fa paura, innegabile verità, e di fronte a questa perdiamo la lucidità nel discernere la direzione delle sensazioni: provo dolore, vedo e mi immedesimo nel dolore dell’altro… Decido per me, decido per gli altri ?
Anche se in salita la, strada comincia a delinearsi, e non sembra volerci ancora molto tempo affinchè ognuno di noi possa essere libero di decidere della propria esistenza.