Limiti violati. Donne e guerra. è il titolo dell’incontro tenutosi lo scorso venerdì 28 marzo, presso la Sapienza. L’evento si inserisce nel ciclo di seminari Donne, potenza, limite. Attraversare i confini, misurarsi con i conflitti, organizzato dal Laboratorio di studi femministi Sguardi sulle Differenze.
Sono intervenute le Prof.sse Barbara Ronchetti, Annalisa Perrotta e Marta Maiorano. Ha moderato Mariagabriella Di Giacomo.
Donne e guerra: una storia da riscrivere
L’incontro ha offerto una riflessione sul rapporto tra donne e conflitti. La guerra è sempre stata raccontata con uno sguardo maschile, ma l’esperienza femminile è altrettanto centrale.
Annodare i dettagli
Barbara Ronchetti ha aperto il dibattito con un intervento intitolato Annodare i dettagli. La Professoressa, mediante l’analisi di due voci e un dialogo madre-figlia a distanza, ha condotto un’interessante excursus sul rapporto fra memoria, trauma e scrittura.
Nello studio del legame tra la scrittura di guerra e l’identità femminile del secolo scorso, Ronchetti ha sottolineato l’importanza del ruolo della memoria, soprattutto da una prospettiva femminile. In questo senso, la memoria non è mai passiva, bensì un processo attivo di ripensamento continuo, influenzato dal potere e dalle ideologie del tempo.
Un momento particolarmente significativo dell’intervento della relatrice è stato la lettura di alcuni passi de Le tre ghinee di Virginia Woolf, testo che esplora il concetto di guerra e il modo in cui essa cancelli il pensiero di pace. Woolf si interroga su forme di resistenza alternative, al di fuori dell’uso delle armi. Nella difficoltà di raccontare la guerra mentre la si sta vivendo, la scrittura diventa un atto di testimonianza ma anche di elaborazione emotiva, distinguendosi tra un’emotività impulsiva e un’emozione consapevole, capace di rendere leggibile la storia anche a chi non l’ha vissuta.
L’intervento di Ronchetti induce a riflettere su una questione cruciale: la narrazione del trauma può essere considerata una pratica di cura del trauma stesso?
Quattro significati del limite
Annalisa Perrotta ha poi esplorato il concetto di limite nella guerra, declinandolo in quattro prospettive.
Il Limite territoriale. La guerra è connessa alla difesa dei confini, alla distinzione tra “noi” e “loro”, alla costruzione di un’identità collettiva basata sulla patria, la lingua e la cultura. Il confine diventa un elemento identitario, determinando chi viene considerato nemico. Il concetto di guerra, in quest’ottica, non è solo un atto di difesa territoriale, ma anche una costruzione ideologica che regola l’appartenenza.
Il Limite nella sfera domestica. La guerra irrompe nelle case, nei rapporti umani e nelle abitudini, con conseguenze devastanti. Le donne, storicamente legate alla cura degli spazi domestici, subiscono in modo particolare queste trasformazioni, vedendo distrutti i loro luoghi di vita e le loro relazioni.
Il Limite nel Corpo. Un terzo aspetto tocca la dimensione più intima: il corpo femminile. Da sempre, le donne sono state considerate territorio di conquista, subendo violenze e sopraffazioni nei conflitti. Il corpo diventa un campo di battaglia simbolico e materiale, riflettendo le dinamiche di potere e oppressione patriarcale.
Il Limite sociale. L’ultima riflessione di Perrotta si concentra sul contrasto tra donne e guerra. Se da un lato la società ha spesso attribuito alle donne il ruolo di custodi della pace, dall’altro la guerra le ha coinvolte attivamente, come combattenti o vittime. Tuttavia, l’idea che il pacifismo sia un valore naturalmente femminile è una costruzione culturale, non una verità assoluta. La dicotomia tra donna-pacificatrice e uomo-guerriero, secondo la Professoressa, è una gabbia concettuale che danneggia entrambi i sessi.
Riscrivere la parola pace
Infine, Marta Maiorano ha concluso il dibattito analizzando il legame tra donne e pacifismo. Nell’esplorare questo articolato e complesso rapporto, si mette in discussione l’opposizione dicotomica tra donna-pace e uomo-guerra. La studiosa ha sottolineato come il pensiero androcentrico abbia plasmato il significato di queste parole. La pace è allora relegata a una definizione debole, subordinata alla guerra.
La guerra può essere infatti discussa in numerosi modi, mentre la pace esiste solo come “assenza di guerra”. Questo squilibrio linguistico e nozionistico dimostra quanto sia ancora fragile il concetto di pace, che necessita di una ridefinizione e di un arricchimento semantico.
Riprendendo il pensiero di autori e autrici che si sono occupati di pacifismo, la studiosa ha introdotto il concetto di non-violenza, espressione che di per sé sembra passiva, in quanto definita in negativo. L’obiettivo, ha spiegato Maiorano, è invece trasformarlo in un’idea attiva e propositiva, capace di includere strategie di sovversione pacifica e atti di resistenza non violenta.
La pace non deve essere vista come uno stato di immobilismo o debolezza, ma come un movimento dinamico. Un movimento in grado di riscrivere il significato stesso del vivere civile.
Donne, guerra e futuro: uno sguardo nuovo
Grazie alla ricchezza degli interventi, l’incontro ha aperto un’interessante discussione fra i presenti, suscitandone la più viva curiosità, e spinge tutti noi ad una riflessione cruciale. La guerra non è solo una questione maschile. Le donne non sono semplici vittime. Sono protagoniste di resistenza, cambiamento e nuove narrazioni.
Per rimanere aggiornati sui prossimi incontri del Laboratorio, visita Sguardi sulle Differenze.
Autore: Mariagrazia Staffieri