Lunedì 27 maggio alle ore 16:30 presso la Sala Conferenze di UnitelmaSapienza si è svolto l’incontro “enCICLOpedia. Le cose che dovresti sapere sulla giustizia mestruale” organizzato dalla School of Gender Economics UnitelmaSapienza e da WeWorld, moderato da Roberto Sciarrone.
L’evento inizia con l’intervento da parte di Dina Taddia, Consigliera Delegata WeWorld, che introduce in problema della giustizia mestruale parlando dei bisogni che sono strettamente connessi alle mestruazioni, bisogni che dovrebbero essere ascoltati, soprattutto per garantire la parità di genere in tutti i sensi, ma vengono nascosti per motivi culturali ed economici. Taddia sottolinea l’inadeguatezza della politica italiana nell’affrontare il tema della povertà mestruale e ricorda la prima battaglia di WeWorld contro la tassa sul tampone, per comunicare alle istituzioni che anche nel nostro Paese c’è un bisogno al quale non viene data una risposta.
Anche Rossella Castellano, Presidente CUG UnitelmaSapienza, interviene a proposito evidenziando come il problema della giustizia mestruale pone delle barriere anche nello sviluppo delle carriere professionali, e che oltre agli uomini, talvolta sono anche le donne a sottovalutare il problema, poiché, in alcuni casi, questo rappresenterebbe un tabù anche per loro.
I dati allarmanti dimostrano che 1 uomo su 5 ritiene imbarazzante parlare dei problemi legati al ciclo mestruale in ambito lavorativo.
A questo punto prendono la parola la giornalista Donata Columbro e Martina Albini, coordinatrice del centro studi di WeWorld, che con il supporto delle slide, presentano la loro indagine, dalla quale emerge un quadro per niente rassicurante della situazione. I dati raccolti dimostrano che solo in 60 Paesi vengono raccolte informazioni sulla salute mestruale, ciò significa che solo pochi Paesi ritengono la tematica rilevante. L’Italia non è tra questi 60 Paesi.
In generale viene dimostrato che i paesi del G7 siano molto indietro rispetto ad altri.
Affrontando il tema della povertà sessuale, Columbro e Albini individuano i fattori che relegano ai margini le persone con le mestruazioni, come la carenza di informazioni adeguate rispetto alla gestione del ciclo mestruale, l’impossibilità di scegliere liberamente per il proprio corpo, la persistenza di tabù e stereotipi sull’argomento, la difficoltà ad accedere a servizi igienico-sanitari, la perdita di giorni di scuola o di lavoro e la rinuncia a praticare sport, a uscire, a partecipare a occasioni sociali, per vergogna o imbarazzo.
In Italia le scuole risultano essere non equipaggiate adeguatamente di carta e sapone, infatti più di 1 persona su 2 che ha le mestruazioni non trova sapone nei bagni delle strutture scolastiche o universitarie, e il 16% delle persone non può mai, o solo raramente, permettersi di acquistare prodotti mestruali desiderati.
Non è da sottovalutare l’impatto delle mestruazioni sulla vita sociale, infatti, in media le persone intervistate per la raccolta dati, perdono 6,2 giorni di scuola e 5,6 di lavoro in un anno a causa delle mestruazioni, e 1 persona su 2 dichiara di rinunciare, o di aver rinunciato, almeno una volta a giorni di scuola o di lavoro a causa delle mestruazioni.
Sicuramente la mancanza di consapevolezza è uno dei fattori che alimenta la disattenzione verso questo tema, stando ai dati: all’arrivo del menarca 4 persone su 10 non sapevano cosa fosse o avevano solo una vaga idea, e quasi 1 persona su 4 non si è rivolta a nessuno quando ha iniziato ad avvertire i sintomi della perimenopausa.
Giunti alla fine della conferenza la Columbro e la Albini, affrontano l’ultimo capitolo della loro ricerca, ovvero: cosa si può fare per migliorare la situazione?
I dati raccolti dimostrano che la maggioranza degli intervistati sia favorevole all’introduzione del congedo mestruale e che i prodotti mestruali debbano essere distribuiti gratuitamente.
I Paesi dovrebbero rivolgere la dovuta attenzione alla problematica, e raccogliere dati in merito, poiché per ora gli unici a raccogliere e detenere dati sono le multinazionali che gestiscono le app dedicate al ciclo, che usano queste informazioni solo a scopi commerciali.