RadioSapienza e Cinemonitor alla Festa di Roma con Alice nella Città
Presentato in anteprima il ventisei ottobre nella sezione “Freestyle” della Festa del Cinema di Roma con una proiezione nella splendida cornice del MAXXI di Roma, Fela, il mio dio vivente è un film che già dal titolo tradisce i propri intenti. Si intuisce sin da subito che l’obiettivo del film è quello di celebrare, con fare reverenziale, una delle icone che hanno segnato maggiormente l’immaginario della black music (e non) del secolo scorso. Fela Aníkúlápó Kuti, infatti, è considerato, assieme al suo leggendario batterista Tony Allen, l’inventore e uno dei massimi esponenti dell’afrobeat, un genere che nasce dalla commistione di stili come il funk e il jazz con le radici sonore tipicamente nigeriane.
Se ci si aspetta, però, un documentario che ripercorra le tappe della carriera dell’iconico musicista si è fuori strada. Sin dalle prime sequenze, infatti, il film chiarisce la propria struttura, dipanandosi come un racconto in prima persona che assume il punto di vista del compianto artista visuale Michele Avantario, a cui Claudio Santamaria presta la propria voce. Ecco che Fela, contro ogni aspettativa, non è mitizzato e assurto a divinità sin dall’inizio, ma viene avvicinato man mano che il rapporto col narratore diventa più stretto. I protagonisti, quindi, sono in realtà due e le loro vicende si legano indissolubilmente, tratteggiando un inedito ritratto umano del musicista. Si parte con gli aneddoti che aleggiano attorno le date italiane del tour di Fela organizzate da Avantario, dall’arresto del musicista per la detenzione di tonnellate di marijuana agli sforzi logistici necessari per ospitare le sue ventisette mogli (donne che furono stuprate dai militari e che il bandleader trasformò quasi in principesse) e gli altrettanti musicisti. Il cuore del racconto, però, è ambientato proprio in Nigeria: Avantario sognava di realizzare un film su Fela intitolato The Black President e, per questo motivo, viene invitato dal cantante a Lagos, in Nigeria, per conoscere la sua vera natura. Non filtrata da alcune miopi letture occidentali e orientaliste.
Il musicista abitava in una comune da lui fondata e chiamata Kalakuta, in cui conviveva con le sue ventisette mogli e con alcuni membri della band che regolarmente si esibivano allo Shrine col frontman. Il giovane regista italiano ha la preziosissima occasione di vivere la quotidianità del musicista, regalando agli spettatori filmati e fotografie che permettono di conoscere il background storico, culturale e artistico nel quale l’afrobeat è nato. Viene dato spazio anche al lato più politico di Fela Kuti, quello che si opponeva al colonialismo occidentale e abbracciava una visione panafricana che avrebbe permesso a paesi come la Nigeria di uscire dallo stato di povertà assoluta in cui versava.
Man mano che la narrazione si dipana, Avantario conquista la fiducia del musicista, che accetta di recitare nel suo film e gli permette di andarlo a trovare sin dentro le proprie stanze a Kalakuta. La sua visione del mondo cambia progressivamente quando sposa le visioni di libertà propugnate da Fela e passa sempre più tempo in Nigeria, lasciandosi alle spalle il grigiore egoistico di Milano. Se da una parte, infatti, impera l’individualismo dell’edonismo reaganiano e dello yuppismo, dall’altra si abbracciano i valori della comunità (e di una forma di comunismo) in nome della fraternità e dell’uguaglianza.
L’utopia, però, non può durare per sempre. Richiamato in Nigeria con poco preavviso, Avantario è l’unico europeo a prendere parte ai funerali di Fela, ormai divenuto la propria guida spirituale. Durante quei giorni drammatici lo sguardo dell’adepto del musicista nigeriano cattura immagini preziosissime che tradiscono l’aura di divinità che aleggiava ormai attorno a lui. Un amico, per Avantario, ancora prima che uno degli innovatori sonori più celebrati del secolo scorso.
Il film immaginato e riscritto più volte da Avantario, dunque, non verrà mai realizzato a causa della prematura scomparsa di Fela. Quello che l’artista italiano non poteva sapere è che, inconsciamente, aveva documentato, raccogliendo un’ampissima quantità di materiale, la vita quotidiana di una delle icone musicali più importanti del Novecento. Più di vent’anni dopo il sogno del compianto filmmaker è stato raccolto dal regista Daniele Vicari, congiuntamente con la sua compagna dell’epoca, dando vita ad un film sulla realizzazione di un film mai esistito su Fela Kuti che è molto di più di un semplice documentario. È un’osservazione partecipante dentro la vita (e la psiche) di un’icona divenuta una divinità.
Gioele Barsotti