È tornato Gabriele Muccino alla 19ª Festa del Cinema di Roma con un film che tocca le corde del cinema di genere, passando da una storia romantica estiva annunciata ad un thriller heast-movie nelle strade di Palermo. Quando si compie un viaggio di solito si spera sempre di vivere esperienze mai fatte prima, sensazionali, che in un certo modo ti possano anche cambiare la vita. Ed è proprio quello che è successo a Sophie (Elena Kampouris), la protagonista di Fino alla fine, una giovane americana in vacanza in Sicilia con una sorella apprensiva al seguito. Andiamo per ordine.
Sophie ha da poco perso il padre, convive con un dolore profondo e questa vacanza potrebbe essere l’occasione giusta per un po’ di respiro. Salvo le pressioni della sorella Rachel (Ruby Kammer) che vorrebbe portare con sé a tutti i costi in giro per le chiese e per i monumenti di Palermo. Sophie non ne vuole sapere, così decide di andare in spiaggia per farsi un bagno, tra un tuffo e una grotta conosce Giulio (Saul Nanni), bello e appassionato, tra i due nasce qualcosa, si promettono di rivedersi la sera. Con Giulio, Sophie conosce anche i suoi amici, decisamente più spericolati e inclini a cacciarsi nei guai (molto più grandi loro). Sophie sceglie di stare con Giulio scontrandosi apertamente con la sorella, una serie di scelte imprudenti e insensate la condurranno verso un’escalation di violenza criminale.
Un amico di Giulio, il Komandante (un Lorenzo Richelmy perfettamente nella parte), avvezzo già ad azioni illecite, ha un debito da pagare con dei criminali, i quali li costringono a rapinare un camion portavalori nel cuore di Palermo. Da qui, un’avventura notturna che brava è dire poco che porta i protagonisti verso un piano inclinato fatale.
Cosa salvare? Sicuramente la regia di Muccino che sa muovere la macchina da presa con grande maestria, i piani sequenza, un ritmo serrato, un montaggio veloce e in grado di raccontare con grande precisione gli eventi. Tuttavia, quello che risulta fin troppo verosimile è la velocità con cui Sophie si lancia nel vortice di una pericolosa rapina, soprattutto se a farlo è una ragazza americana di famiglia borghese che ha speso un’intera vita a suonare il pianoforte al conservatorio, provocandole non pochi disagi emotivi. La deviazione alla Bonnie e Clyde è sì avvincente, adrenalinica (anche fin troppo), tale da non lasciare spazio alla realizzazione di quello che sta avvenendo davanti ai suoi occhi. Che l’incontro di fulmine con Giulio sia credibile è indiscusso, ma che questo amore così potente non abbia la capacità di proteggere il proprio amato perché catapultato in una vicenda estremamente rischiosa, fa sospendere un po’ la credulità nei confronti della storia.
Un grande peccato, perché il film in alcune sequenze ti tiene incollato allo schermo; con una scelta – quella di Muccino e di Paolo Costella con cui ha firmato la sceneggiatura – di deviare dal suo stile a cui ci ha abituati – per approdare nei confini del cinema di genere. E qualora dovesse ritornarci, con una storia magari con personaggi più profondi, più tridimensionali e caratterizzati, potrebbe davvero sondare terreni nuovi mai battuti prima, realizzando un cinema diverso da quello fatto finora, con risultati ancora più notevoli e sorprendenti.
La sensazione è che con una storia come questa, a tinte thriller con gangster da strada, i personaggi fin troppo carichi di una spinta vitale tipici del cinema di Muccino, dall’esuberante follia urlata a squarciagola, il film perda qualcosa, mancando l’obiettivo e distraendo fin troppo lo spettatore da un pellicola dal grande potenziale e dalla indiscussa virtuosità tecnica di Gabriele Muccino.