Si è tenuta questa mattina, 22 gennaio 2024, presso l’Aula Multimediale del palazzo del Rettorato la tavola rotonda su “Fuga di cervelli e migrazioni” organizzato dalla Fondazione Roma Sapienza.
Dopo i saluti di rito, Eugenio Gaudio, presidente della Fondazione, ha introdotto i temi che sono stati trattati durante i lavori: fuga di cervelli, scambio di intellettuali italiani con manodopera straniera, inverno demografico e famiglia.
Ha preso parola, in seguito, Oliviero Diliberto, preside della Facoltà di Giurisprudenza, che, dopo i saluti della Facoltà stessa, ha ripercorso con un excursus la storia dell’emigrazione italiana. L’Italia, infatti, ha detto Diliberto, ha sempre esportati giovani cittadini, fin dai tempi più remoti; l’unica cosa che è cambiata nel corso dei secoli sta nel fatto che se in passato si esportavano “braccia”, ora si esportano “cervelli”. I ragazzi italiani, ha continuato il preside, sono oggi molto richiesti all’estero per la loro formazione e le loro competenze sostenendo, quindi, che il problema sta nel mercato del lavoro che non riesce ad accoglierli.
Dopo l’intervento di Diliberto, è stato dato avvio alle presentazioni dei lavori presieduti da Filippo Reganati, direttore del Dipartimento di Studi Giuridici ed Economici, che prima di cedere la parola ai relatori ha precisato che la questione dell’emigrazione è un problema antico e che l’unico modo per limitarne gli effetti è quello di un’interconnessione tra la fuga di cervelli italiani verso l’estero e l’arrivo di migranti in Italia.
Prima relatrice dell’evento è stata Francesca Licari, ricercatrice ISTAT, con la presentazione dei dati del rapporto tra espatri e rimpatri della popolazione residente nel periodo 2013-2022 che ha segnato una perdita di 568 mila residenti. Il costo di tale perdita si registra sul capitale umano su cui lo Stato ha investito; si è perso, infatti, “l’insieme di capacità, competenze, conoscenze, abilità professionali e relazionali, acquisite mediante l’istruzione scolastica” in cui lo Stato ha impegnato risorse e dei cui frutti beneficeranno, invece, stati esteri. Nel concludere il suo intervento, la professoressa Licari ha indicato Regno Unito, Germania e Svizzera come gli stati che maggiormente intercettano i giovani italiani; in ordine espatriano in questi stati rispettivamente il 21,5%, il 13,8% e il 9,2% dei cervelli italiani.
È seguito l’intervento di Gian Carlo Blangiardo, già presidente ISTAT e professore emerito di Statistica, che ha focalizzato l’attenzione sulla questione demografica. Il professore ha affrontato le problematiche relative alla diminuzione delle nascite e all’aumento delle morti, fenomeno che sta portando sempre più a una diminuzione della popolazione totale. Nonostante una leggera inversione di tendenza dovuta all’immigrazione in Italia, negli ultimi anni si è assistito, ha spiegato Blangiardo, a una diminuzione di natalità anche tra le coppie immigrate, adattatesi allo stile di vita italiano.
Focalizzandosi, invece, sull’emigrazione italiana, ha preso la parola Delfina Licata, referente dell’area ricerca e documentazione della Fondazione Migrantes, con un contributo sugli italiani nel mondo. Partendo dai dati dell’AIRE, Anagrafe degli italiani residenti all’estero, Licata ha fatto notare come proporzionale alla decrescita della popolazione residente in Italia, c’è l’aumento della popolazione italiana residente all’estero; dal 2006 al 2023, infatti, la popolazione italiana all’estero è aumentata del 91%, diventando di 6 milioni il numero di cittadini oltre il confine nazionale. Nonostante una leggera flessione, dovuta a un controesodo durante gli anni della pandemia, gli italiani continuano a partire per l’estero in numeri diversi in base all’area geografica di provenienza: il 37,8% parte dal Nord, il 46,5% dal Sud e dalle Isole e, infine, il 15,7% dal Centro.
È stato poi presentato un breve studio demografico da Salvatore Strozza, professore ordinario di Demografia presso l’Università di Napoli Federico II. Partendo dall’evoluzione e dalle caratteristiche demografiche dei gruppi di popolazione, Strozza analizza il fenomeno della diminuzione degli under-20 in controtendenza rispetto all’aumento degli over-65; la causa di ciò è da ricercare nella diminuzione dell’età feconda che conseguentemente porta a una riduzione delle nascite. Per invertire la rotta, secondo il professore, è necessario puntare su un aumento del tasso di fecondità e sugli immigrati, che tuttavia hanno la necessità di essere adeguatamente istruiti e inseriti nelle varie fasce della popolazione.
Del rapporto tra immigrati e cittadinanza ha parlato, invece, Cinzia Conti, ricercatrice ISTAT, che ha esposto i metodi di acquisizione della cittadinanza e come questo influisce sul totale della popolazione cittadina dello Stato. Con un tasso di naturalizzazione relativamente alto, il processo di integrazione passa anche attraverso il riconoscimento della cittadinanza ai residenti stranieri, che in questo modo si sentono più motivati anche nelle attività lavorative. L’unica nota negativa sta nel fatto che spesso i cittadini naturalizzati, dopo l’acquisto della cittadinanza, ripartano per altre destinazioni, facendo diminuire nuovamente il numero totale dei cittadini residenti.
Ha concluso la mattinata di lavori la relazione di Roberto Basile, professore ordinario di Politica Economica presso l’Università dell’Aquila, che ha ripreso il tema iniziale del dibattito, la migrazione dei cervelli italiani. Se forte è la migrazione di laureati dal sud della penisola verso il centro-nord, ancora maggiore è la quantità di giovani “altamente qualificati” che lascia la penisola, che provoca uno squilibrio prima interno allo stato con una concentrazione di esperti nelle aree al nord del Paese e poi esterno allo Stato con una progressiva perdita di questi esperti. E se in termini quantitativi può essere d’aiuto l’immigrazione che rifocilla i numeri abbassati dell’emigrazione; lo stesso non si può dire in termini qualitativi con l’ingresso prevalente di “braccia”. Basile ha terminato il suo intervento con un richiamo agli effetti sul PIL delle migrazioni.
Intervista a Eugenio Gaudio, presidente Fondazione Roma Sapienza