Lunedì 25 marzo, presso l’Aula 1 del Dipartimento di Filosofia in Villa Mirafiori, si è tenuto il secondo dei quattro incontri del Seminario di Scienze della mente, Comunicazione e Violenza di genere: percorsi transdisciplinari.
L’appuntamento, patrocinato dalla SFI (Società Filosofica Italiana), è stato coordinato dal professor Nunzio Allocca e ad intervenire è stato il professore Fabio Lucidi, portando il contributo delle sue esperienze di studio nell’ambito della psicometria ed i assistenza mentale di atleti e atlete di alto livello.
Il punto centrale del discorso non è stata tanto l’esposizione e l’analisi di dati quantitativi riguardo la presenza femminile nelle manifestazioni sportive, quanto piuttosto lo studio e la comprensione degli stigmi che, fin dalle prime Olimpiadi moderne, hanno ostacolato l’inserimento delle donne nelle competizioni sportive, a partire proprio da Pierre De Coubertin, fondatore dei Giochi olimpici moderni, dichiaratamente contrario alla partecipazione femminile. Lo scopo della discussione è stato andare a verificare se, ad oggi, esiste ancora un gender gap nello sport e cercare di capire quali parti degli stereotipi di genere sono ancora purtroppo attuali in questo contesto.
Per capire quanto questo divario di genere sia ancora presente, il professor Lucidi ritiene che si debba partire dalle categorie più giovani, dove iniziano a delinearsi le primissime dinamiche di stereotipizzazione che i bambini assorbono.
Si è poi aperta una parentesi sui gruppi dirigenti all’interno delle associazioni sportive, che fino alla fine degli anni ’80 sono stati composti esclusivamente da uomini. Si è intervenuto a riguardo sul piano normativo, dato che sono state poste delle condizioni: le giunte e le cariche avrebbero dovuto essere composte in maniera mista da uomini e donne, gettando le precondizioni per un riequilibrio di genere.
Un altro spunto di riflessione interessante riguarda la mascolinizzazione o la femminilizzazione di determinati sport, in modo tale che maschi e femmine vengano indirizzati fin da piccoli, a seconda del proprio genere sessuale, verso determinati sport in modo tale ritenuti convenzionalmente maschili o femminili.
In conclusione, un altro punto molto importante che certifica le disparità di genere ancora esistenti nel mondo dello sport è il gender gap salariale. L’unico paese che ha cercato di porre rimedio a tale problema è la Norvegia, che nel 2017 ha stabilito con legge la parità di salario. Un problema collaterale a questo riguarda però la differenza di status tra atleti e atlete. Lo status di professionismo, più difficilmente accessibile per le donne, conferisce all’atleta una serie di garanzie e tutele da cui il genere femminile risulta quindi mediamente più precluso. La federazione calcistica è stata la prima italiana a riconoscere il professionismo nelle categorie femminili, e si auspica che questo percorso possa essere intrapreso in modo organico da tutte le federazioni sportive italiane.