Un tema molto affrontato negli ultimi anni è quello delle carceri. Sempre più iniziative si stanno sviluppando, al fine di mantenere vivo l’interesse per questa realtà. Oltre a documentari e servizi giornalistici, viene alla mente, ad esempio, il film Cesare deve morire (https://www.youtube.com/watch?v=HdNpnS4LQas) dei fratelli Taviani: una riscrittura del Giulio Cesare di Shakespeare interamente recitato dai detenuti del carcere di Rebbibia. Oppure progetti meno ambiziosi, ma sicuramente più accessibili attraverso i social, come la rubrica Dietro le barre di Vice (testata giornalistica online). Dietro le barre è una serie a puntate, pubblicata su Instagram e Facebook, incentrata sull’esperienza di un ex recluso che racconta in maniera colloquiale alcuni eventi e segreti sul penitenziario. Si può ascoltare l’intera intervista su Youtube.
Proprio di carcere parla, il libro Grazie professore di Pietro de Santis, presentato alla biblioteca Moby Dick di Roma il 13 febbraio. De Santis racconta la vicenda di un professore che si trova a fare da commissario esterno per l’esame di maturità all’interno di una prigione. L’incontro con tre “studenti” protagonisti e l’immersione in una realtà così particolare, suscitano nell’autore interrogativi e riflessioni molto stimolanti.
Nella sua descrizione, il professore identifica fin da subito l’ambiente del carcere come un ambiente punitivo, che porta alla perdita della dignità dell’individuo. L’istruzione diviene uno dei pochi appigli per evitare di “spegnersi” e uno dei modi per mantenere delle aspirazioni. Proprio questo aspetto, mi ha colpito fin da subito. Tolto qualunque tipo di pregiudizio o di impostazione passatistica, la vita nel carcere viene vista con l’occhio ingenuo di una qualunque persona che si trova di fronte a qualcosa di insolito e sconosciuto. Il libro si colloca all’interno di quel movimento che accennavo e che, negli ultimi anni, sta cercando di riqualificare la visione comune della prigione, rappresentandola in maniera veritiera.
La realtà del carcere è immensamente complicata. Senza cercare di riassumerla troppo, penso si possa affermare che si tratti di una realtà umana, più che giudiziaria. I detenuti sono persone e in quanto tali impongono un’attenzione e una riflessione profonda sulla posizione che ricoprono nella società. Lo scopo dell’istituzione carceraria è sostanzialmente rieducativo, quindi ha il fine di reintrodurre i criminali nella società. Tuttavia, questo tipo di impostazione rischia di essere eccessivamente razionale e meccanica, considerando i carcerati come oggetti da riparare, raddrizzare. Dal momento che il problema riguarda le persone, una gestione innovativa potrebbe essere il lavorare su di esse prevedendo delle strutture che intervengano dal punto di vista psicologico.
I progetti degli ultimi anni, compreso il lavoro di numerose associazioni che tutelano i diritti dei detenuti (vedi Associazione Antigone), dimostrano un comune intento nel trattare in maniera differente, più umana, l’argomento delle carceri. Possiamo solo augurarci che continuando a lavorare e ad insistere, finalmente assisteremo a un cambiamento. Magari riacquistando un po’ di sensibilità, non sarà più così controversa la gestione dei penitenziari!