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Guenda Goria veste Clara Schumann: sabato 6 e domenica 7 aprile al Teatro Torlonia

“Il giorno si affrettava a lasciare spazio ad una sera incantata ma sublime, affrettata e puntale era già notte da qualche ora nel mio cuore. Ritornavo a me da una folla di pensieri e sentivo questo vuoto aria incombere sul mio petto . Così, tutte le parole che non dicevo nei miei primi anni di vita le riversavo sui legnosi tasti. Erano solo dei tasti legnosi e polverosi ma io, solo io, sapevo quanto valessero più di mille treni. Quei treni sui quali la mia mente slittava verso stazioni che avrei faticato a vedere. Ma erano sogni, solo sogni e ai sogni è necessario abbandonarsi talvolta.

D’improvviso ero inverno spinoso di Baviera o carezza soave di vento. E timida la mia essenza guerriera si faceva avanti, come lo scorrere delle mie piccole mani su quella rotaia salvifica dove incrociavo mio padre che invano tentava di disciplinarmi. Era il maestro Johann Gottlob Friedrich Wieck, un uomo austero e magistrale in cui i suoi studi teologici trovavano facile l’acmè nello strumentale.

E io che sapevo già quanto il suo fantasma si sarebbe figurato in ogni mio concerto.

«Clara non sei lui, ma chi sei?» quante volte me lo sono chiesto.

Mia madre era Marianne, quella donna mi ha sempre stupita. La sua silente presenza, il suo accomodare ogni legge imposta da Wieck. Silenziosa io, mentre scrutavo disincantata un uomo e una donna lontani dal loro amore, mi ripromisi che avrei percorso un’altra vita.

Papà era lì, tra le corde della mia musica e del mio temperamento.

Sarà per sempre una lotta, vecchio mio? Io ti combatto e tu torni. Allora ti accetterò, ci stai? Mi acclamerai nella mia ultima melodia?

Ho vissuto tutta la vita tra questi figli nati scordati come me. Tu padre, mi hai portato qui, su questo palco. Forse l’ho desiderato io o forse non me lo sono chiesto nemmeno più di tanto. Forse sono tutte risposte che rimarranno in un vicolo cieco dal quale puntualmente la mia mente fuggirà, cambierà stazione. Di una cosa sono certa: quando nel mio grandangolo siamo io e il piano poco mi importa di quante rose dalla vecchiaia facile toccheranno il suolo e sfioreranno le mie setate scarpe. Siamo io e lui come sempre a riscoprirci. E poi quell’istante di fulminea felicità in cui posso udire solo il suo riverbero attonito. E tutto si fa quiete intorno a noi, tutto rimane cristallizzato nel mio slow-motion in loop.

E allora è quello il momento in cui mi chiedo “Perchè non hai insistito? Era la tua vita, Clara!” E allora fumo e rabbia mi pervadono e un senso di angoscia profonda mi fa rinunciare al mio ultimo tentativo di serenità. Smetto di lottare, che senso ha? Ma dopo il brusìo e il marasma generati dalla formalità di un’orchestra, dopo tutto questo clamore ecco che appare il mio joker: quella tenda rossa che lascia fuggire veloce il teatro mascherato. Ora posso slacciare il raso che intrappola le mie esili caviglie e anche la mia coscienza. Sono di nuovo libera e sognante. Quel viaggio in Inghilterra prima o poi lo farò, tornerò a rifiorire limpida nel campestre suono di alcune note che saranno un segreto dolceamaro tra me e una campagna.

Ebbene sì, mia cara Clara , non è finita. Sei ancora affezionata a questa vita, sei ancora tua a decidere quando lo spettacolo troverà una fine”.

Possiamo immaginare che Clara Schumann, grandiosa pianista e compositrice dell’epoca romantica, abbia parlato così a se stessa. Un po’ tutte noi ci siamo sentite almeno una volta nella vita come Clara Schumann, una donna che che ha dovuto fare i conti con un io genitore difficile da metabolizzare e una relazione in cui spesso si è trovata a vestire i panni della controfigura. Diventa semplice per noi capire che le sue ansie, le sue paure, i suoi dubbi, i suoi desideri nascosti. Clara in realtà ci ha lasciato nelle pagine di storia della musica un messaggio chiaro, da afferrare e custodire. Ogni donna porta su di sè il dovere di bastarsi, di comprendersi e sorridere a se stessa come a una persona cara che ritrova dopo tempo.

Ogni donna veste la luce di nuove melodie che bisogna lasciar fluire con passione. Ed è a quel punto che si libera nelle forme della creatività, della fantasia, della poesia, della bellezza. E’ un messaggio che ora più che mai trova l’esigenza di essere un monito universale, superiamo quindi l’infinita antitesi del “maschio e femmina li creò”. Viviamo in una società che ci mastica, in cui tante volte ci troviamo intrappolati in discorsi fittizi e altre tante volte ci sentiamo estranei.

Clara si è ricordata di non sentirsi estranea a sè, e ciò lo si può sentire chiaro “Allegretti Andanti”, così ariosi da far venir voglia di sdraiarsi al Sole di un parco e respirare a fondo.

In una stagione in cui il Teatro Torlonia ha riservato particolare attenzione all’universo femminile, con talento tenacia e superba maestrìa Guenda Goria darà vita sotto le mani regie di Maurizio Scaparro e tra le sonorità composte ma felicemente altisonanti dell’opera di Giuseppe Manfrini “La Pianista Perfetta” a un’amica che ha vissuto prima di noi le difficoltà del proprio mondo interiore che muta come il respiro di Marzo, ora pungente ora fresco ora assetato. Sabato 6 aprile (ore 20) e domenica 7 aprile (ore 17) quando miracolosamente la sera abbandonerà tutte fatiche diurne possiamo in anticipo iniziare il sogno in uno scenario storico di Roma. Si sa, diventa difficile aver paura di fronte alla bellezza. Respirate, perchè poi potrete sentite la possibilità di riallacciarvi alla vita.