“Abbiamo fatto l’Italia, ora facciamo gli italiani” è la famosa frase – di dubbia attendibilità storica – con cui Massimo D’Azeglio, Presidente del Consiglio del Regno di Sardegna, riconosce l’inizio dell’esperienza unitaria italiana. Il 17 marzo 1861, con la pubblicazione della legge n. 4671 nella Gazzetta Ufficiale, Vittorio Emanuele II assume “per sé e suoi Successori il titolo di Re d’Italia”. A quel tempo il Presidente del Consiglio era Cavour e fu proprio lui, sembra, a volere che fosse questo il primo provvedimento del Parlamento italiano.
La citazione in apertura non è casuale: gli italiani e l’Italia avevano bisogno di essere ‘fatti’, cioè creati di sana pianta. La storia italiana appare un racconto di fratture ricomposte, a volte anche forzatamente e ferite lasciate aperte che hanno lasciato cicatrici ben visibili.
Prima cicatrice: la penisola era divisa politicamente e culturalmente, piena di squilibri sociali. Il Nord industrializzato e il Sud arretrato è un topos che non ha tutt’ora perso la propria attualità. Le divisioni andavano rese meno evidenti in nome di un progetto politico sostanzialmente carente di un patriottismo condiviso e di spirito nazionale.
La storia politica italiana è una storia di ricomposizione di divisioni non solo culturali, ma anche politiche. L’italia nasce all’ombra del connubio: un accordo parlamentare tra ala progressista di Cavour con la componente più moderata della Sinistra, con Rattazzi. In sostanziale continuità con questa pratica la vita politica unitaria è contraddistinta da una pratica chiamata trasformismo: vera e propria tradizione italiana, fondata sul cambio di casacca per privilegiare una stabilità governativa altrimenti impossibile. Ogni riferimento a fatti e persone della vita politica contemporanea è puramente casuale.
Eredi di una tradizione in cui l’unità è frutto di compromesso, in cui l’affermazione dell’ideale nazionale è stata più importante delle divisioni culturali oggi l’Italia è tutto sommato più unità, ma in forte continuità con il proprio passato. Ecco perché oggi, dando il via alle celebrazioni per il 156° anniversario dell’Unità, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha deposto una corona d’alloro all’Altare della Patria d’Italia, usando parole che ribadiscono la necessità di sedimentare quest’unità:
“Celebriamo oggi […] le nostre radici. Per rendere il nostro Paese più unito e più forte […] l’ispirazione risorgimentale e poi la stagione della Costituzione repubblicana ci consegnano, infatti, uno spirito positivo di comunità, aperta alla collaborazione internazionale per affermare ovunque gli ideali di indipendenza, pace, giustizia, libertà, democrazia”
Le radici storico-culturali dell’Italia non sono in discussione: questa culla della cultura ci farà sempre sentire orgogliosi di essere pronipoti di una delle più importanti civiltà dell’età antica. Con le contraddizioni della nostra storia più recente,invece, ancora facciamo i conti e forse, con un briciolo di consapevolezza in più, faremmo meno fatica a sentirci tutti più italiani.
Simone Di Gregorio