RadioSapienza e Cinemonitor alla Festa di Roma con Alice nella Città
Nel 1985 Giuseppe Tornatore, alle prese con la sua prima opera da regista, realizza una serie televisiva mai mandata in onda con lo scopo di trovare i fondi per poter produrre il film culto “Il Camorrista”. 38 anni dopo sono stati ritrovati i negativi originali, rimasterizzati e adattati al mercato seriale contemporaneo. Alla Festa del Cinema di Roma sono stati proiettati in anteprima l’episodio 1 e l’episodio 4 della serie.
Il Camorrista: “Quanto pesa un picciotto?”
Al festival del cinema di Roma, presso il cinema Giulio Cesare, il 27 ottobre 2023, dopo un travagliato percorso, è stata proiettata la serie Il Camorrista (la prima e la quarta puntata), diretta da Giuseppe Tornatore. La serie doveva uscire nel 1986, insieme all’omonimo film, ma per diversi problemi non è mai stata trasmessa. La serie era una novità per l’epoca, ma vederla ai nostri giorni non è per nulla di ostacolo a cogliere la sua straordinaria attualità.
Il Camorrista si apre con una povera realtà campana fatta di operai e contadini; tra questi, vi è l’allora bambino “Il professore vesuviano” (nonché il protagonista della serie). È in quella miseria che arriva il mafioso Don Salvatore: è il primo incontro tra il professore e la mafia. La serie ci proietta poi anni dopo (si noti il passaggio dal cavallo alla macchina): per difendere la sorella da una molestia, il professore uccide un uomo. Da lì, lo attendono 30 anni di prigionia, e la sua ascesa nella Camorra.
Secondo le intenzioni di Tornatore, la serie doveva informare, poiché “per combattere la mafia, occorre conoscerla”, e proprio questo emerge: la serie traccia una linea che va dalla formazione, la nascita allo sviluppo, di quella che il professore stesso chiama Camorra Riformata.
Riuscendo pian piano a conquistare la fiducia e il rispetto dei suoi compagni di prigione, il professore sfida e si sostituisce in un certo senso a Don Salvatore. Del professore del Vesuvio viene rimarcata in particolar modo la sua intelligenza, che lo distingue dagli altri (che vengono infatti poi sottomessi), il suo “ricamare” nella testa, pensare, riflettere, escogitare.
Tornatore ci presenta con notevole precisione quello che è il “rito di passaggio” quasi, la benedizione del camorrista, in cui uno ad uno, si decide di entrare nella “società” camorrista: dal sangue che si mescola con il professore, ad assimilare un patto di fratellanza, si diventa “picciotti”, nonché membri.
Proiettandoci nella 4 puntata, troviamo un professore ancora più consapevole, più brutale, meno incerto, che riesce ad evadere: a segnalarlo è il giornale La Repubblica, che annuncia proprio l’evasione al tritolo da un manicomio.
Tornatore traccia il profilo di uomo dall’ego ormai smisurato, da una volontà di grandezza che lo riempie totalmente, da un’autogratificazione che si può riassumere efficacemente in una frase da lui stesso pronunciata: “Se avessi intrapreso la carriera religiosa, sarei diventato Papa”.
La serie ci parla attraverso la ferocia, la sopraffazione, la brutalità dei comportamenti dei soggetti e la crudezza della vita in prigione: è la morte che sovrasta qualsiasi tipo di rapporto umano, una morte frequente, ma che Tornatore ci racconta cruda, rapida, violenta, vera. Chiunque non sia stato un buon camorrista, o abbia tradito, merita di essere pugnalato, e quasi passivamente accetta questo meccanismo, è consapevole che dovrà andare incontro a questa punizione.
Emergono poi i rapporti corrotti tra polizia, rivoluzionari e governo: è il Presidente della Repubblica che concede la grazia a Don Salvatore, sono le brigate rosse che collaborano con la Camorra, sono magistrati e funzionari che partecipano e che fanno parte della lista degli innumerevoli collaboratori del professore.
Come ci insegna la serie, è la legge del silenzio, dell’omertà, quella che governa la società camorrista, in cui dominano ancora i miti dell’orgoglio, dell’essere un vero uomo, dell’affermazione dell’eterosessualità come valore che si contrappone all’omosessualità, i miti dell’umiliazione e della reputazione da mantenere, della donna come proprietà, come oggetto scambiabile.
Al contempo però, è degna di nota la figura di Rosaria, la sorella del professore che assume più il ruolo di soggetto attivo, che gestisce da fuori gli affari e si trova ad interloquire con diverse figure: Rosaria è una donna forte, pronta, ma rassegnata, che ama incondizionatamente il fratello e lo accompagna in questo folle percorso criminale, di cui però ne riconosce la follia. Una volta entrati in quel sistema, Rosaria non può far altro che offrire al fratello un barlume di ragione sulle scelte da prendere, anche se vanamente.
Giulia Pace