Martedì 16 aprile presso l’aula Oriana del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale della Sapienza, si è tenuta la seconda parte di una lezione-incontro dal titolo “AliMenzogne. Informazione alimentare e fake news: il caso Parmigiano Reggiano“. Ad intervenire sono stati Lorenzo Ugolini, assegnista di ricerca CoRiS, Laura Gennaro, ricercatrice presso CREA, e Cristina Giannetti, coordinatrice dell’Ufficio Stampa del CREA.
Cosa si intende per “fake news“?
“Fake news” è stata la WOTY 2017, cioè la parola più usata del 2017 (“Word Of The Year 2017”).
Quando si parla di “falsa notizia”, si intende qualcosa che sembra verosimile, che attira l’attenzione e che ha lo scopo di danneggiare e screditare. Questo vuol dire che spesso le fake news hanno attinenza con i fatti veri, ma questa passa in secondo piano. Alcuni tra gli esempi più clamorosi sono quelli in cui Rihanna venne fatta passare come la figlia della ex-ministra Cecile Kyenge oppure quella della presenza ai funerali di Totò Riina da parte di alte acriche dello Stato, peccato che i funerali di Riina non ci siano mai stati.
Oltre al presente, anche nel passato si riscontrano delle grandi bufale, come ad esempio nel 1937 quando Orson Welles in un programma radiofonico parlava di un’ipotetica invasione aliena, “tutta la nazione andò in panico”. Qui la bufala non fu solo l’aver preso per vero un programma d’intrattenimento, ma il fatto che il panico dilagò, certo aveva creato del trambusto e della preoccupazione in alcuni ma non certo in un’intera nazione.
Insieme al professor Ugolini, ci si è chiesti come combattere la diffusione di fake news, perchè non basta condividerla (ad esempio sui social networks o per messaggio) e smentirla perchè prima di dire “questa è una bufala”, l’abbiamo condivisa e questa può capitare tra le mani di qualcuno che invece ci crede, andando a condividerla a sua volta come un qualcosa di veritiero. Questo è un sistema simile al telefono senza fili che parte da una cosa e passando di bocca in bocca (possiamo azzardare a dire “da bacheca in bacheca”) giunge ad un’altra totalmente differente.
Si ha bisogno quindi di un’azione attiva da parte dell’utente sull’argomento, che comprende una consapevolezza del rischio di divulgazione e della necessità di una figura di riferimento in grado di aiutarci nel verificare, interpretare e contestualizzare le notizie. A ricoprirne il ruolo dovrebbe essere il giornalista, ma chi è un giornalista?
Secondo lo Stato Italiano, un giornalista è colui iscritto all’Ordine dei giornalisti, cioè una figura allo stesso livello di medici, avvocati, eccetera.
“Vorrei dire che non tutti i fatti sono notizie e non tutte le notizie fanno informazione” dice il professor Ugolini e insieme a lui abbiamo visto quali sono i passaggi chiave che dovrebbe fare un giornalista: reperimento (trovare le notizie); verifica; selezione (non si possono trattare tutte le notizie, si deve fare una cernita); gerarchizzazione; interpretazione; contestualizzazione; commento; presentazione.
Alla base del giornalismo italiano vi è quindi un concetto molto nobile, il giornalista è considerato a tutti gli effetti una figura importante, ma purtroppo ci troviamo in una fase di crisi del giornalismo.
La cause principali sono una crisi economica degli editori e non solo, un problema di credibilità preesistente, l’impatto del web e soprattutto dei social networks (disintermediazione, fake news), un ancoraggio di tipo cognitivo, affettivo, valutativo-normativo.
E proprio parlando di ancoraggio affettivo, chi più di noi italiani non si sente preso in causa quando si parla di “cibo made in Italy“?
Con Laura Gennaro abbiamo visto alcuni casi di fake news sul mondo del cibo italiano, in particolare del caso del parmigiano.
Nel luglio 2018 infatti il Sole 24 Ore Economia rilascia un articolo in cui si dice che l’ONU mette sotto accusa il cibo italiano in particolare “Olio e Grana come il fumo”. Questo ovviamente ha creato lo scompiglio e allarmato il mercato italiano, che già pensava di dover abolire alcuni sui punti forti come il Parmigiano Reggiano, Il Grana e altri prodotti.
Ancora una volta la grammatica italiana non è stata capita, perché le virgolette erano state messe per un motivo ben preciso, per attirare l’attenzione. Infatti l’Oms, che collabora con l’Onu, non metteva al bando specifici prodotti made in Italy ma si riferiva a prodotti ricchi di grassi e alla necessità di ridurli nell’alimentazione delle persone per prevenire malatttie non trasmissibili.
Questo è stato ancora una volta un esempio di confusione di informazione e di disinformazione online.
Inoltre l’effetto domino del telefono senza fili ha provocato un altro grande ed errato risultato, trovandoci tra le mani parole che nei documenti dell’Oms nemmeno figuravano.
A finire l’incontro, Cristina Giannetti ha portato l’attenzione sull’aspetto storico che ha avuto e che ha il cibo, in particolare sull’attenzione ossessiva che il nuovo millennio ha per gli ingredienti, protagonisti assoluti di ogni dieta e in ogni stagione dell’anno.
Qui un ruolo fondamentale l’hanno non solo i social media, ma anche la pubblicità.
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