L’adesione di Riabitare l’Italia in qualità di End User al Progetto Horizon Re-Place, dedicato alla valorizzazione dei luoghi non metropolitani lasciati indietro, puntando sulla mobilità e su modelli di sviluppo innovativi, diventa occasione proficua per approfondire la conoscenza del progetto politico e culturale dell’Associazione attraverso le parole della sua Direttrice, Sabrina Lucatelli. Esperta di politiche di sviluppo nelle aree a bassa demografia, a lungo esponente del nucleo di valutazione del Dipartimento per la Coesione della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Vice-Presidente del Gruppo OCSE per le politiche territoriali delle aree rurali, già coordinatrice della Strategia Nazionale delle Aree Interne (SNAI), la Direttrice di Riabitare l’Italia – intervistata da Camilla Rumi, assegnista di ricerca nell’ambito del Progetto Re-Place – si sofferma sul posizionamento dell’Associazione a livello nazionale e internazionale e sul ruolo ricoperto da un nuovo storytelling per un effettivo rilancio delle piccole comunità locali. Particolare attenzione viene inoltre prestata alle opportunità che possono scaturire dalla collaborazione con il Progetto Re-Place, nonché al futuro delle comunità locali, a partire dalla necessità di incrementare la consapevolezza pubblica del valore ambientale, economico e culturale di questi territori per un nuovo disegno del Paese Italia.
In cosa si sostanzia il progetto politico e culturale alla base dell’Associazione Riabitare l’Italia?
“Riabitare l’Italia nasce con l’intento, come dichiarato nel nostro Statuto, di invertire lo sguardo, noi sostanzialmente non facciamo altro che guardare l’Italia con gli occhi delle aree marginali, delle aree che perdono la popolazione. A noi non piace neanche chiamarle marginali, perché ci sono sempre delle cause a seguito delle quali un territorio perde popolazione, certamente però la perdita di popolazione è un indicatore di qualità della vita: quando la gente smette di scegliere un luogo significa che quel luogo non è più vivibile, significa che non è più un luogo che attira le famiglie e, quindi, si diradano anche le attività economiche.
Noi nasciamo come gruppo di lavoro nel 2020 attorno al libro “Riabitare l’Italia”, anche se affondiamo le nostre radici nella più ampia esperienza della SNAI – Strategia Nazionale delle Aree Interne. Molti di noi si erano già conosciuti ed avevano già lavorato insieme, ma attorno a quel libro si è creata quella che chiamo “la grande alleanza tra Nord e Sud” e Carmine Donzelli ha avuto questa grande intuizione di fare un libro su Riabitare l’Italia e ha chiamato Fabrizio Barca, ex Ministro della Coesione Territoriale e ideatore della SNAI, a lavorare assieme ad Antonio De Rossi curatore principale del testo e ad un gruppo di alti esperti sulle diverse tematiche, tutti con grande esperienza di ricerca-azione. Al tempo ero coordinatrice della SNAI e, mentre lavoravamo dentro la Strategia, sentivamo che stavamo diventando un movimento culturale. È proprio così che nasce Riabitare l’Italia, quando il nostro vice-presidente, il Prof. Mimmo Cersosimo dell’Università della Calabria, ha avuto il merito – durante una riunione – di proporre la strada dell’associazione. Così sono partiti i primi incontri a Torino, i primi seminari, poi nasce il Manifesto di Riabitare l’Italia in pieno Covid: oggi l’Associazione è rimasta online, ma la verità è che noi ci incontriamo sui territori quando organizziamo i nostri seminari, quando andiamo a presentare i libri o portiamo avanti i nostri progetti. L’Italia ha voglia di questi incontri, la società si trova in un momento molto difficile ed è importante costruire questi momenti di scambio umano e culturale”.
Come definirebbe il posizionamento nazionale e internazionale dell’Associazione?
“Noi siamo assolutamente unici, nel senso che non esiste un’altra organizzazione come la nostra: esistono tante realtà che si occupano di alcuni aspetti, alcune enfatizzano il tema dei borghi, altre sono legate all’ambiente, con molte di queste tra l’altro collaboriamo, abbiamo ad esempio una fortissima alleanza con Cittadinanzattiva, proprio per come abbiamo impostato il nostro lavoro. Siamo unici a livello nazionale perché facciamo questa triplice attività particolarissima che si sostanzia innanzitutto nella pubblicazione di libri a carattere fortemente divulgativo, dato che molti di noi sono dei ricercatori e che ogni libro è frutto di alleanze e di operazioni di ricerca-azione. In questo la collana di Riabitare l’Italia è un unicum, perché sono dei piccoli libri che inviamo ai nostri soci, portiamo poi nei territori e a tutti coloro che sono interessati perché siamo convinti che attraverso questa demistificazione della tematica avvenga il cambiamento culturale perché il problema di questi centri è proprio quello che li abbiamo idealizzati e abbiamo smesso di dialogare e di co-progettare il Paese con loro. Abbiamo scritto un libro dal titolo “Contro i Borghi, il Belpaese che dimentica i Paesi” perché siamo contrari a questa idea del piccolo mondo antico, del luogo bellissimo dove si va per la gita della domenica, dove poi si spengono i riflettori e nessuno si chiede cosa succede nei giorni successivi o nelle stagioni fredde, invece quelle sono comunità vive, che hanno una loro vita che noi conosciamo, con cui lavoriamo quotidianamente.
Siamo unici anche perché abbiamo questa alleanza con 12-13 università sparse nel Paese che vanno da Milano a Napoli, da Torino a Roma, ma sempre più anche nelle aree interne come Camerino o Benevento, ormai la nostra rete cresce quotidianamente […]. Oltre a questa alleanza con le università, stanno crescendo i nostri rapporti anche con i Sindaci e le Unioni di Comuni, sono reti che durano nel tempo, la nostra Associazione vive di questi forti legami.
Un altro legame su cui stiamo lavorando è con le aziende: abbiamo aperto una pagina delle aziende amiche di Riabitare l’Italia perché abbiamo scoperto che esistono tante aziende che hanno una sensibilità per il territorio e che vogliono entrare dentro il nostro progetto culturale […]. La grande innovazione di Riabitare l’Italia è quella di mettere insieme ricerca e pratica, questo è il nostro cuore, è ciò che ci rende unici […]. Il progetto di Caselle in Pittari, che è uno dei casi che state mettendo al centro della vostra ricerca Re-Place, è nato perché lì abbiamo fatto un incontro per discutere i risultati di una nostra ricerca “Giovani dentro” e abbiamo scoperto tutta una serie di pratiche esistenti, come quella legata alla trasformazione del grano, pratiche bellissime, molto innovative, e dentro quella pratica abbiamo lavorato e stiamo lavorando. Quindi, noi non entriamo mai in una piccola città, in un comune o in un paese, ma entriamo dentro le pratiche, questa forse è la cosa più spiccatamente innovativa.
La terza attività è la progettazione innovativa […] siamo un’Associazione che abbraccia progetti con un grande contenuto culturale. Con la scuola della pastorizia, ad esempio, abbiamo deciso di dare un nuovo valore, un nuovo significato alla figura del pastore che era una figura molto trascurata nel nostro Paese e lo abbiamo fatto attraverso un modo innovativo di fare scuola che non fosse costruita sui professori e sui moduli da loro offerti, ma sui ragazzi, ragazzi giovanissimi tra i 20 e i 25 anni, la gran parte giovani donne. Attorno a questi ragazzi stiamo costruendo un nuovo modo di fare formazione, perché i ragazzi vengono portati dentro le imprese, viene chiesto loro su cosa vogliano lavorare (come ai ragazzi che sono appena tornati dalla nostra seconda edizione della scuola sulle Madonie) e, sulla base della loro domanda, chiediamo poi ai docenti la loro disponibilità a darci una mano. È una grossa inversione di metodo, non solo per il tema, ma anche per il modo in cui facciamo scuola.
L’altra progettazione spinta che abbiamo fatto quest’anno è l’hub di montagna, questo hub di ricezione di neo-popolanti della Valle Subequana, dove con la Sindaca molto illuminata di Fontecchio abbiamo avviato un ragionamento di neo-popolamento con un hub aperto, un piccolo ufficio all’interno del comune dove il neo-cittadino può andare ed ottenere tutte le risposte rispetto a questioni piuttosto pratiche come la casa, i servizi esistenti e una prima opportunità di lavoro. E anche alla base di questa operazione c’è stata una forte alleanza con l’Università di Torino e la Scuola di Montagna, il GSSI e l’Università dell’Aquila, alti Centri di competenza che detengono conoscenza e alleanza sui territori.
Il filone internazionale si sta sempre più sviluppando grazie alla collaborazione con voi, ma anche ad un progetto Erasmus con la Francia, con cui abbiamo portato avanti un ragionamento sui metodi di partecipazione attiva dentro le politiche ordinarie […]. Essendo poi vice-presidente OCSE delle Politiche Territoriali Aree Rurali, la dimensione internazionale me la porto dentro come modus vivendi e operandi. Anche la SNAI era nata con questo forte legame con l’internazionale, tutta la questione degli indicatori di accessibilità nelle aree italiane nasce all’interno di questo gruppo sulle politiche regionali dell’OCSE dentro il quale, se possibile e opportuno, creo legami anche con Riabitare l’Italia, considerando l’importanza che sta assumendo la questione della Aree Remote a livello mondiale”.
Nel suo intervento ha toccato il tema del ruolo fondamentale ricoperto dalle narrazioni, su cui insiste molto anche il Progetto Re-Place: come possono concorrere a rilanciare le piccole comunità locali del nostro Paese?
“La narrazione ha valore nel momento in cui diventa progettazione: noi abbiamo sperimentato il metodo della co-progettazione, quando ci interfacciamo con le comunità locali ci mettiamo in un’ottica di trasformazione e quest’ottica implica il dialogo, la collaborazione, la co-progettazione. In questo processo la narrazione è fondamentale perché noi subiamo una narrazione falsa, che fatica tantissimo ad allontanarsi dall’idea del borgo, del piccolo posto, della gita, del turismo, una narrazione vecchia all’interno della quale entra la sfiducia e la stanchezza di questi territori che si vedono raccontati come non sono e come non vogliono essere più raccontati. Questo modo sbagliato di narrarli è uno degli aspetti della frustrazione di questi territori che invece amano essere raccontati in modo diverso: sono appena rientrata da una missione OCSE in Sardegna dove stiamo lavorando sull’attrattività della regione e ci hanno raccontato di come stanno pensando di costruire un centro di fisica per la misurazione delle onde gravitazionali in un’area interna ultra periferica e ho posto il problema di come l’operazione – se avrà luogo – possa e debba essere costruita assieme alla popolazione locale. Il confine tra narrazione e costruzione di una visione è infatti molto labile. Un altro caso è rappresentato dalle Madonie, dove siamo appena andati a fare la scuola di pastorizia: le Madonie hanno un centro scientifico europeo, un centro astronomico – top in Europa –, hanno realizzato un Unione tra tre Unioni di Comuni (segnale di maturità amministrativa) e loro vogliono essere raccontati anche per tutto questo. I nostri giovani che sono stati a scuola di pastorizia sono entrati in un territorio al top per la ricerca e la trasformazione della restituzione delle terre e sono stati accolti nel cuore della Sicilia, culla di incroci di culture, dormendo e lavorando dentro l’ex convento dei padri riformati a Petralia Sottana. La narrazione è assolutamente fondamentale, ma è necessario che non si fermi solo alla ricerca universitaria, al report online o all’articolo, deve essere fatta molto nei territori in cui lavoriamo con il rapporto vero e proprio con gli abitanti, che poi devono usare questa nuova narrazione nel quotidiano, anche per fare pressione alla politica e farla crescere. Questo è il passo più difficile da compiere”.
Quali sono i motivi che hanno spinto l’Associazione ad aderire al Progetto Re-Place in qualità di End User? Quali i principali punti di convergenza?
“Il primo aspetto che mi ha colpito del progetto Re-Place è stata l’apertura interdisciplinare per la presenza al suo interno del Dipartimento di Studi Europei, Americani e Interculturali, ma anche di quello di Comunicazione e Ricerca Sociale, nonché di Economia e Diritto. Un secondo aspetto non poteva che essere il tema: il vostro tema è il nostro tema, quello ha reso tutto più facile, perché il tema dei movimenti migratori, la scelta di restare e di tornare nei territori interni è proprio la nostra professione cuore. Poi anche la scelta di questi due casi studio, molto diversi tra di loro, che portano a guardare, nel caso di Viù, al legame tra l’area interna, montana, e la città, che sono un unicum, legame che viene fuori anche in “Migrazioni verticali”, che è il nostro ultimo libro che guarda alle aree interne con gli occhi della metropoli, un’analisi di come i nostri cittadini del nord, della pianura padana, guardano alla montagna e alle aree interne come alternativa di vita. Si tratta di un caso che porta molto a ragionare in un’ottica metro-montana, che anche Riabitare l’Italia spinge a sviluppare nel Paese. E poi c’è la scelta di Caselle in Pittari, dove c’è un importante osservatorio di giovani con cui è possibile interfacciarsi e che rappresenta uno dei soggetti chiave del nostro questionario sui giovani delle aree interne, una realtà che permette di scandagliare molto bene il tema delle aree interne e del potenziale di innovazione sociale che queste riescono ad esprimere”.
Quali opportunità possono scaturire dalla collaborazione tra l’Associazione e il Progetto Re-Place ai fini della valorizzazione delle piccole comunità locali?
“Sulla base di queste premesse, le opportunità saranno tante: noi ci crediamo molto nell’alleanza che stiamo creando con voi. In questo lungo triennio che ci legherà, anche per noi è più facile presentare e raccontare la nostra esperienza in altri Paesi. Con le tecnologie che oggi ce lo permettono, ma anche attraverso missioni, se ci sarà la possibilità, si potrebbero incrementare gli scambi e noi come Riabitare abbiamo moltissimi contatti e possiamo facilitarli. E poi il lavoro, per noi cruciale, della banca dati: abbiamo un gruppo dedicato alle statistiche dentro Riabitare l’Italia, coordinato dall’ex direttore dell’Istat Giovanni Alfredo Barbieri, una figura di grande valore che per molto tempo è stato anche rappresentante del gruppo di lavoro OCSE sulle statistiche, e quindi anche uno scambio e una messa in rete del lavoro statistico di Riabitare potrebbe essere parte di questa collaborazione”.
In linea conclusiva, quale ritiene possa essere il futuro di questi territori, intesi come luoghi sia di origine che di destinazione di flussi di mobilità, tema nevralgico per Re-Place così come per Riabitare l’Italia?
“Il concetto di mobilità si sta trasformando completamente e questa trasformazione la stanno facendo i nostri giovani, che non concepiscono più la vita in un luogo solo. Se noi entriamo nel loro modo di vedere e vivere il futuro ci rendiamo conto che per loro l’immobilità non esiste […], per la nuova generazione questo concetto è rivoluzionato.
Oggi nei territori ci sono diverse anime: ci sono gli anziani dei territori, la parte più stabile di popolazione con cui dobbiamo instaurare un nuovo dialogo, ed è un investimento perché il saper fare locale ce lo conservano loro, poi ci sono i giovani che tendono ad andare e a venire, gli abitanti stabili che hanno un modo di lavorare e concepire la relazione col territorio e con la natura in maniera totalmente diversa rispetto al cittadino e, infine, gli abitanti “a singhiozzo”, quelli dei weekend e delle seconde case, che spesso vengono da fuori, che portano dinamismo e partecipano alla vita dei territori. La migliore armonia possibile tra queste diverse anime crea quella che è la Comunità che non c’è sempre. Noi con la SNAI abbiamo trovato tanti luoghi dove la comunità non c’era, c’erano persone presenti nello stesso luogo, ma non erano comunità, perché mancava il dialogo, la collaborazione, la progettazione, la capacità di tornare a riconoscersi, dialogare e fare cose nuove. Costantemente nei territori trovavamo soggetti messi all’angolo dalla terribile trappola del sottosviluppo, che fa sì che certe volte queste piccole comunità che nell’immaginario collettivo dovrebbero essere armoniose, in realtà non lo sono: anzi, sono quelle in cui si creano i contrasti più pesanti, che portano a forti squilibri e, quindi, allo spopolamento.
Per il rilancio di questi territori sono fondamentali due elementi: uno slancio dal basso per ricostruire la comunità, attraverso alleanze, perché le comunità non possono vivere del loro piccolo luogo, oggi il mondo è tale per cui devi collegarti alle reti e ai centri di competenza, le tecnologie in questo aiutano e i giovani lo sanno molto bene. L’altro aspetto ha a che vedere con la politica, con il riconoscimento del ruolo di questi territori dentro il nostro Paese e, quindi, tutto il tema di come ridare loro voce, un ruolo attivo nella costruzione del disegno del Paese Italia. Su questo c’è un lavoro enorme da fare attraverso un’azione politica più spinta e più alta, dove noi possiamo giocare la nostra parte, ma dove evidentemente ci vuole una maggiore sensibilità della politica a riaprire il contatto con le comunità locali: un nuovo modo di fare Partito”.