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Io, noi e Gaber: il docufilm di Riccardo Milani che ripercorre la storia professionale e umana dell’artista milanese

Giorgio Gaber

Giorgio Gaber, foto di Fondazione Giorgio Gaber

RadioSapienza e Cinemonitor alla Festa di Roma con Alice nella Città

Nella giornata di domenica 22 ottobre alla Festa del Cinema di Roma, in occasione della première del documentario “Io, noi e Gaber”, sono stati accolti all’Auditorium Parco della Musica il regista Riccardo Milani e parte del cast – composto da Dalia Gaberscik (figlia di Gaber) e Paolo dal Bon – con le parole memorabili “la libertà è partecipazione”, ritornello della nota canzone La libertà del musicista e cantante Giorgio Gaber.

Poco prima della proiezione dell’opera cinematografica sul red carpet è avvenuto uno spettacolo inaspettato, in cui tutto il pubblico presente ha cantato all’unisono le canzoni che hanno lasciato un segno indelebile nella storia della musica italiana: sia per la loro veemenza e mordacia nel criticare la politica e la società, che per raccontare con crudezza gli anni ’60 e ’70 in Italia.

Infatti, Io, noi e Gaber – inserito nella sezione Special Screenings – è stato uno dei documentari più attesi in questa diciottesima edizione della Festa del Cinema di Roma.

A vent’anni dalla scomparsa, la dimostrazione del lascito dell’artista è rimarcata anche dalle parole introduttive al docufilm affidate al giornalista Corrado Augias: “nessuno è mai veramente morto, finché ci si ricorda di lui. Molti sentono il bisogno che Gaber ci aiutasse con la sua ironia in un cammino che oggi è così confuso”.

Giorgio Gaber: musicista, cantante e teatrante

Quest’opera nasce dal desiderio di dire grazie a Gaber per il suo percorso professionale e umano. Sono uscite delle cose che mi hanno fatto alzare la testa”, ha affermato il regista Riccardo Milani nell’intervista a cura della Festa del Cinema di Roma.

Infatti, il regista nel ripercorrere la storia della carriera di Giorgio Gaber ne delinea la personalità. Gaber riemerge dai ricordi delle memorie collettive e condivise come un indiscusso musicista – “in grado di suonare anche l’elenco del telefono”, come afferma Lorenzo Luporini – che è riuscito ad esprimere il proprio pensiero politico e militante con intelligenza e ironia.

Gaber e Jannacci
Gaber e Jannacci

Le canzoni di Gaber, senza dubbio, si distinguono per un rock decisamente ricercato e innovativo per gli anni ’60 in Italia, in quanto contaminato dal jazz: genere che negli anni il musicista aveva fatto proprio grazie alla collaborazione con il conterraneo Enzo Jannacci, col quale fondò il duo i Due corsari.

Gaber e Mina
Gaber e Mina

Agli albori della sua carriera Gaber, insieme a Mina e Celentano (appellati tutti e tre come “i ribelli”), irrompe nella Programmazione Nazionale, all’interno del programma “Il Musichiere”, con ritmi nuovi e ricchi di sprint. Successivamente questo stesso trio con l’aggiunta di Jannacci verrà designato come i “4 del rock roll”, trasformando i “giovani ribelli” in artisti di grande successo.

Gaber e Celentano

Una delle peculiarità di Gaber è senz’altro la sua teatralità. Un tratto distintivo che lo accompagnerà per tutta la sua carriera: dai primi spettacoli nei pub e bar, alle conduzioni televisive con Mina, fino all’abbandono del piccolo schermo per il Teatro canzone (una sua creazione). Difatti, le performance dell’artista diventano sempre più simili a spettacoli di cabaret, in cui non soltanto comunicava tramite la voce ma anche col corpo.

Il pensiero e la sua ideologia sono all’origine dei suoi testi, ma le sue parole assumono un carico fisico che negli anni appare sempre più visibile negli spettacoli. La sua capacità di modulare la voce, a volte quasi di sussurrare parole pungenti e piene di ironia, rende il racconto del tragico in una narrazione tragicomica, simile al teatro delle maschere.

Diversamente dalle sue esibizioni in televisione – grazie alle quali l’artista ha raggiunto la sua popolarità – il Teatro canzone diventa il palco in cui Gaber può dare sfogo al suo sentire e al suo essere. Fortemente contrario al Capitalismo, il cantante ripudia il sistema di mercato, poiché ormai è diventato parte integrante del tessuto sociale. Per questa ragione, canzoni come Il conformista e Quando è moda è moda sono una forte critica alla generazione sessantottina (e alle seguenti) che bivaccano in proteste e atti di vandalismo in nome di valori e ideali opposti al loro reale operato e stile di vita.

Per queste ragioni, Gaber può essere considerato non soltanto il narratore della società, ma anche un educatore. Infatti, come afferma Claudio Bisio, “nutriva a colpi di musica”, ma anche mieteva vittime a suon di satira. Ad essere i più colpiti nelle sue canzoni erano i movimenti studenteschi o “rivoluzionari”, poiché si prefiguravano come portatori del vento di idee rivoluzionarie, ma in realtà erano anch’essi intrappolati nelle logiche di mercato, in quanto seguaci di tendenze e mode.

Tuttavia, come anche sottolinea il politico Pier Luigi Bersani è importante ricordare che i movimenti sono stati anche la forza del nostro Paese.

Come anche ben ricorda l’ex membro del Parlamento Europeo Mario Capanna, allora leader del movimento del Sessantotto, quando si andava a vedere lo spettacolo di Gaber a teatro cantavi “le canzoni perché erano orecchiabili, sembravano carezze, poi però subivi il colpo”.

Il modus operandi di Gaber sembra riprendere lo stile di Pasolini negli scritti corsari, poiché – come in molte clip tratte da spettacoli dell’artista che si susseguono nel docufilm – appare furente, quasi anche affranto e deluso da una generazione che “voleva prendere il volo”, ma che in realtà ha “fallito”.

Teatro Canzone Gaber
Teatro Canzone – Gaber

Riguardare Gaber nelle sue vesti anticonformiste, amareggiato della generazione passata e presente, ascoltare le sue parole piene di rabbia tramite le quali da libero sfogo alla “retorica del pazzo”, sembra essere una premonizione della società che viviamo oggi. Dunque, potremmo dire che se prima la mente veniva offuscata dai forti ideali e dall’incoerenza nel perseguirli, adesso la società sembra smarrita o priva di una guida. Questo nel tempo ha lasciato spazio a movimenti come la politica del non voto, ai pensieri complottisti e alla sfiducia generale nei confronti della politica e della società in cui viviamo, affievolendo così qualsiasi atteggiamento di rivalsa o cambiamento.

La sottovalutazione della violenza dell’oggetto e la mancata resistenza della generazione di Gaber possono essere considerati gli elementi che hanno spalancato le porte alla “mano del mercato” e alla voracità e irrazionalità del consumismo?

Una domanda che lo stesso artista si pone continuamente anche negli ultimi anni della sua vita. Ma, come Gaber afferma con impeto nel brano “Il Terzo Millennio”, nonostante il mondo e la società appaiano contaminati e ammalati da “una follia suicida”, dall’odio e dalla guerra e sembra non esserci “più salvezza” e il mondo sembra sprofondare “io ti voglio dire che non è mai finita, e che tutto quel che accade fa parte della vita”.